novità febbraio 2011

Novità febbraio 2011

in vetrina


Jacques Cazotte, Il diavolo innamorato
a cura di Isabella Mattazzi
A metà strada tra romanzo galante e racconto di magia, Il diavolo innamorato di Jacques Cazotte è una delle opere più curiose e significative della letteratura francese di fine Settecento.
Evocazioni demoniache, incantesimi e metamorfosi improvvise sono lo scenario della stravagante storia d’amore tra Alvaro, soldato spagnolo delle guardie del re di Napoli, e Biondetta, demone-fanciulla in grado di mescolare le grazie leggere della seduzione femminile alla finezza argomentativa di un moderno philosophe.
Con la leggerezza teatrale di un’opera buffa, in una folla di paggi eleganti, cabalisti, cammelli mostruosi e cortigiane veneziane, il racconto rappresenta un perfetto equilibrio tra le istanze più felici e riuscite del pensiero libertino settecentesco e il nascente senso di inquietudine che tanta parte avrà nella costruzione del genere fantastico contemporaneo.
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Gonzalo Álvarez García, Nidi di airone. Memorie di un prete franchista
Il ricordo della Guerra Civile in Spagna e dell’ascesa di Franco si intreccia alla vicenda autobiografica di Armandín, per il quale l’adolescenza non è soltanto la scoperta della sessualità e le scorribande con gli amici alla ricerca dei nidi di airone; ma anche la naturale adesione alla fede cattolica e alla causa franchista, che culmina nel sacerdozio.
García, in queste Memorie, racconta di una giovinezza vissuta “da sonnambulo”, fra il sonno del giusto e i furori del profeta, e di un risveglio brusco, che sa di abbandono e di rivolta contro Santa Madre Chiesa.
Conducendo il lettore nel tessuto della società spagnola dell’epoca, negli usi e nei costumi politici e religiosi, nell’ipocrisia e nelle verità della professione di prete, questo romanzo contribuisce a riportare a galla – insieme all’epopea del regime del Caudillo – la storia, in gran parte rimossa, del matrimonio che si celebrò in quegli anni in Europa tra le gerarchie ecclesiastiche e i regimi totalitari.
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altre novità


narrativa

Gennaro Aceto
, Le voci sospese del Cisternone
Al giovane Kalheb, immigrato del Nord Africa, la Rocca appare come un piccolo borgo sospeso sul vuoto di un viscere profondo, il Cisternone romano del I secolo a. C., che alimentava con la sua acqua l’antica comunità di Formiae. La stessa che oggi, rinnovata nel corso della storia, gli si manifesta in tanti incontri, legata a regole e tradizioni di una gens consolidata nel tempo.
Kalheb è accolto da Metellozza, anziana custode delle storie e dei segreti della Rocca. Secondo la credenza del posto, versione popolare del Purgatorio, nel Cisternone le voci sospese attendono di confessare la loro colpa ad un vivente per liberarsi di un peso che le costringe a sostare nell’oscurità del viscere.
Le anime raccontano a Kalheb le loro storie aiutandolo a ricostruire l’identità del Borgo, mentre Metellozza sogna di inserire lo straniero tra la sua gente in un percorso di difficile integrazione.
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Piero Cipriano, Film anarchico e impopolare
Nella terra dei lupi e dei santi

Pietro Cacciafumo è un giovane regista anarchico, autore di film impopolari.
Nel 1999 fa ritorno in Irpinia, dove è nato e cresciuto, per girarvi un film con cui raccontare la sua gente.
Le passeggiate in piazza, gli incontri con giovani e anziani, le processioni e i festeggiamenti religiosi, diventano l’occasione per descrivere con rabbia una terra in cui sembra si possa vivere solo facendo ricorso ai santi.
Il film è il resoconto di questo viaggio: alla vita di paese si mescolano i ricordi d’infanzia, e anche le superstizioni, i guaritori, i finti miracoli. Finché il desiderio di rivolta e di libertà del regista, “lupo solitario e vendicatore”, non trova sfogo nel tentativo di emancipare una suora e nell’omicidio di una maga.
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Gladis Alicia Pereyra, Il cammino e il pellegrino
Sullo scorcio del Duecento, in una Fiorenza in crisi di trasformazione, industriosa e violenta, che inghiotte il passato come la fabbrica di Santa Maria del Fiore inghiotte la vetusta Santa Reparata, quattro adolescenti intraprendono la rischiosa avventura di diventare adulti. Forze inarrestabili stravolgeranno i loro destini, tracciati fin dalla nascita dai padri, e la vita dei quattro giovani percorrerà sentieri insospettati fino a sfociare in tragedia, nella città dilaniata dalle lotte tra i guelfi Bianchi e Neri.
Il romanzo, insieme a un’accurata ricostruzione di scenari e abitudini della Firenze basso-medievale, propone riflessioni che non conoscono tempo sui meandri, a volte molto contorti, dei sentimenti, sulle oscure fonti della violenza e della creatività e sull’impossibile possesso della verità; riflessioni che si azzardano anche nello spinoso territorio del sacro alla ricerca di globalità, di umana completezza.
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Paolo Pompei, Il candore dei perdenti
L’io narrante – ossessivo, autolesionista – racconta in un allucinato monologo il suo “autosmembramento” attraverso episodi e incontri del quotidiano. Romanzo malato, financo sgradevole e autointrospettivo. Una rilettura metropolitana di Memorie del sottosuolo, con apocalisse finale nel fuoco e il “filo tremolante” di anime pallide che forse volano verso il cielo. Come in un dramma di Beckett il peggior disagio consiste nel “non poter andare né avanti né indietro”. Anche la ricerca notturna dell’auto, di cui non si ricorda più il luogo del parcheggio, assomiglia a una microtragedia metafisica, dagli effetti involontariamente comici, come in Bernhard: “…sembra impossibile ma niente, un altro bel niente”. Cui fa da contraltare un iperrealismo deformante, viscerale, che aderisce a gesti banali e a oggetti minuscoli (quasi la tecnica dei fratelli Coen: “…viene espulsa la poltiglia gommosa che è stata tormentata dai denti. Il rifiuto va a finire in un fazzoletto di carta subito gettato in un cilindro metallico…”). Non ci sono vie d’uscita né utopie di ricomposizione: “non esiste un luogo d’origine dove poter ritornare”. Unica consolazione è che “per fortuna tutto finisce"...
    Filippo La Porta
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poesia

 
Annalena Aranguren, Il tempo che ho scritto
Immagini efficaci emergono da versi che dicono di passato e presente: dolci nella memoria, struggenti di malinconia, forti di un realismo convinto e non vinto.
Sono piccoli quadri come schegge di un pensiero che scava dentro di sé con uno scandaglio, per ritrovare e comunicare fatti e rapporti, anche in sordina.
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Tiberio Crivellaro, Senza perdere la tenerezza
Mi figuravo, leggendo i versi di Crivellaro, il gioco mercuriale dei metalli che cambiano di posto, di direzione, persino di luce a seconda che li sfiori una calamita, apparentemente innocua, che ha la facoltà di scomporre e ricomporre, dividere e unire anche un patrimonio di parole rinate da un ordine violentato. Dove, ecco il senso, una sorta di magnetismo riconnette la strabiliante impresa delle separazioni e dei ricongiungimenti. Così è stato nell’inoltrarmi in queste pagine, verbalmente e concettualmente traboccanti da un tumulto linguistico che procedeva con la forza lucida, e la tensione ben governata, della ricerca.
    Sergio Zavoli
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Luisella Mesiano, Fibule
Fibule
è un organismo poetico i cui versi pesano di una “terrestrità” portata all’eccesso, travagliata da un lavorio continuo.
Ogni poesia è una “fibula”, un meccanismo di chiusura, dove la parola, smossa dalla sua impossibilità, tiene insieme i lembi di lama, terra-corpo di paludi latenti e deserte.
Non è un orizzonte di paesaggio quello che si staglia in questi versi: il loro spillo trapunge i tessuti interiori delle cose e s’impania in essi. Non è una lirica di osservazione, ma di commistione e sfacelo dello sguardo e, al tempo stesso, di concrezioni e scaturigini di forme.
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Supplemento al n. 260 del mensile “l’immaginazione”