Alberto Rollo, Un'educazione milanese

13-12-2016

Ciò che perpetuamente scorre, contiene una moralità, di Mattia Nesto

Un'educazione milanese di Alberto Rollo uscito per i tipi Manni è un libro importante soprattutto per chi non è di Milano, non ha mai abitato Milano e non conosce, minimamente, Milano. E quest'affermazione non è redatta per amor di paradosso ma piuttosto sorge da una precisa analisi di tipo sociologico: se è vero come è vero che Milano, negli ultimi anni (in special misura nell'ultimo quinquennio) si è imposta come modello alternativo di dinamismo opposto e contrario al "sistema-Italia" immobile e fossilizzato, una serie di motivi vi debbono pure essere. E buona parte di essi sono contenuti in Un'educazione milanese che lungi dal voler essere un romanzo-manifesto o una sorta di guida a capire la città meneghina della seconda decade del nuovo Millennio, racconta la piccola storia di un uomo della generazione precedente, di quella metropoli anni Sessanta e Settanta così arcaicamente borghese, biologicamente proletaria e idealmente rivoluzionaria che sarebbe potuta essere un sacco di cose ma invece è stata soprattutto altro: una città di ponti, ora che collegano con il passato ora che mettono in contatto con il futuro, sempre e comunque ben presenti sotto i nostri piedi.
Certo il libro di Rollo è anche e soprattutto una storia su una città ma, proprio per il suo evolversi da un lato sghembo e dall'altro rigoroso (come è del resto l'architettura lombarda sin dai tempi più remoti), permette alle persone che non conoscono Milano di avvicinarsi meglio, sia da un punto di vista sociologico sia da un punto di vista umano, alla cosiddetta "capitale morale d'Italia". Tutto inizia con la citazione, utilizzata più volte va detto, di Rocco e i suoi fratelli, il film-cult di Luchino Visconti del 1960 ispirato dal romanzo di Giovanni Testori Il ponte della Ghisolfa. Già perché se la famiglia di Rollo, come tante come tutte, è, almeno per metà. non lombarda e benché meno milanese, essendo originario il padre della Puglia, la vicenda cinematografica è utile per paragonarla a quella propria, in un'ottica costantemente legata al concetto, letterale e filosofico, di ponte. Infatti Milano è per l'autore anche e soprattutto una città di ponti, di ponti che collegano alle ferrovie, al ferro delle rotaie e all'acciaio delle sue industrie. Nei primi capitoli del libro infatti si possono leggere numerosi "ricordi d'infanzia" di Rollo, magnificamente sospesi tra il retroterra di un'Italia bucolica e contadina, di gente che "andava a Magenta a tirar sù le ciliegie" e di un'Italia "che sale", in costante progresso e destinata ad un futuro migliore, "perché non torneremo mai più indietro, si ricostruisce per il meglio", proprio come il padre dello scrittore, fervente operaio-comunista, era solito dire al figlio.


Un'educazione milanese dicevamo è un libro caotico ma anche rigoroso perché rigorosa non può che essere una scuola di vita in questa città. C'è troppa dignità borghese, che si può leggere ora in senso negativissimo ora in senso grandemente positivo, nella commistione precipua tra grandi famiglie ottocentesche, immigrati del Sud (d'Italia o del Mondo non fa poi troppa differenza), giovani con la testa calda ed eterni pendolari che dalle campagne si spostano per dieci ore in città. La penna di Rollo non è mai melodrammatico e non concede in nessun caso alcunché alla vocazione un po' strappalacrime e melensa di certa letteratura nostrana, anche e soprattutto contemporanea. La sua scrittura è, giustappunto, rigorosa, molto più simile alla china che scorre su un tecnigrafo di un bravo geometra cresciuto a pane e edilizia popolare piuttosto che al ticchettare un po' stanco di un giovane creativa di viale Forlanini. Nonostante infatti lo scrittore, nei successivi anni Settanta, diventerà un militante "rivoluzionario", non abbandonerà mai, ora vergognandosene ora rallegrandosi di ciò, una patina di "dignità piccolo-media borghese" che, in una porzione di libro riuscitissima, viene incarnato da un cappotto blu di buona fattura.

Fortissima attenzione poi viene prestata per l'architettura e la pianificazione dell'edilizia in quest'opera. Non troppo diversamente dal Nanni Moretti di Caro Diario, la città viene analizzata e studiata attraverso i suoi palazzi, specialmente quelli di più recente costruzione. Ma diversamente al film del regista romano, Milano non è una città da girare in vespa, bensì a piedi o al massimo con i mezzi. Ed è quindi una città che sale sia verticalmente, come ci aveva già insegnato Boccioni nei primi anni del Novecento ma anche orizzontalmente, con interi quartieri che sorgono "dall'oggi al domani", non sempre guidati da un cattivo gusto. Lo sguardo di Rollo infatti non è uno sguardo accusatorio ma neppure assolutorio: come dice ad un certo punto, "i giovani della nostra generazione sono i primi a vedere le cose con occhi diversi, con occhi nuovi". Ecco, proprio questi "occhi nuovi" gli permettono di penetrare in profondità nelle cose, andando a osservare con cura le diverse stratificazioni della vecchia e della nuova Milano, i destini disillusi e quelli raggiunti di certi quartieri e quell'insondabile eppure palpabilissimo "moto perpetuo" che anima questa città.

C'è una citazione, proprio ad inizio del libro, che può essere utilizzata per riassumere Un'educazione milanese. La citazione, di Robert Walser, è la seguente:

Mi è caro il frastuono e il movimento incessante della metropoli. Ciò che perpetuamente scorre, costringe a una moralità


Ecco perché Alberto Rollo, il mitico editor della Feltrinelli (a proposito struggente è il frammento in cui si descrive il padre, operaio "fedele alla linea" del PCI che, quasi segretamente, va ad assistere ai funerali di Giangiacomo Feltrinelli e canta, dignitoso, commosso e fiero "Bandiera Rossa" con il pugno chiuso e alto in cielo) dopo aver aiutato negli anni centinaia e centinaia di scrittori a far "nascere" i propri libri, nel momento in cui si cimenta egli stesso con un'opera letteraria non può che costruirla con il ferro delle fabbriche, le pelli sfondate delle percussioni e i cappotti blu dal taglio sartoriale dei tardi anni Sessanta.

 

La Milano di Rollo è una Milano ideale e concreta, operaia ed intellettuale, piena di artisti e piena di pendolari dalle facce antiche che prendono il treno per lavorare e per rendere ancora più bella, grande e rigorosamente caotica questa grande città.

Forse il modo migliore per assaporare questo libro è andare al Giardino Giovanni Testori a Milano, nel quartiere della Ghosolfa. Forse qui, nel cuore di quella città dei casciavid ormai tramontata, magari indossando un cappottino color del trasú, si potrà capire fino in fondo perché "ciò che perpetuamente scorre, costringe ad una moralità": perché stare fermi è tanto bello se si sa che, prima o poi, ci si rimetterà ancora in moto.