Alda Merini, Come polvere o vento

17-11-2009

Per Alda Merini, di Antonio Errico

Quanto più passava il tempo, e lei invecchiava, più il dolore svaporavadal suo volto. Come se una divinità pietosa volesse sanarle le ferite, donarle una serenità che non aveva mai avuto, liberarla dalle paure, dalle ossessioni, anche da certi ricordi che le graffiavano il cuore.
Quanto più passava il tempo e allontanava ogni ombra dei fantasmi di follia, più Alda Merini diventava innocente e leggera, più ogni sua parola si faceva espressione di poesia, e lo sguardo, il silenzio, scrutavano lontananze di senso, scandagliavano i fondali misteriosi dell’amore, della passione, della fede. Alda è stata un poeta senza progetto, una che non ha mai cercato la poesia: la poesia le arrivava come arriva un pensiero, un affanno, un trasalimento, un brivido, un tremore improvviso. 
Era connaturata, spontanea, fisiologica, interiore ed intima; apparteneva ai suoi sensi, alle sue percezioni; era sensibilità, era emozione. Talvolta anche una condizione apotropaica, una magia che tiene lontano il maleficio. Fare poesia è un modo di affidarsi alla provvidenza, diceva. E’ un concedersi al caso, un tentativo di arrivare ai confini della palude, di toccare la volta celeste. Diceva che il poeta deve prendere la materia incandescente che è la vita di tutti i giorni e farne oro colato. Diceva che la poesia a volte riempie anche la fame, il sonno, la sete, magari anche la ferita di un grande amore che è finito. E’ un modo di fuggire, di salvarsi la vita.
Alda Merini regalava poesia. Negli anni Ottanta ne mandò un mannelloa Piero Manni. Della Merini, Manni ha pubblicato cinque libri, oltre al quaderno per il premio dell’ “Olio della poesia”.
Quelle, invece, rimasero negli archivi dei manoscritti. Più o meno un anno fa, Anna Grazia D’Oria mi disse di averle ritrovate per caso, che stava preparando un’edizione. Adesso escono con il titolo “Come polvere o vento”, introdotte da Giulio Ferroni, che dice di una poesia “consumata, bruciata, nel suo darsi, nel suo offrirsi all’occasione, canto e vocalità in totale abbandono, dono divino caduto nella banalità del presente, ma pronto comunque ad accendersi anche in quella banalità, a brillare nonostante tutto, tra gioia e disperazione, tra la più nuda esposizione di sé e il trucco più sontuoso e splendente”.
Quanto più passava il tempo, più la parola di Alda Merini si faceva essenziale, più si caricava di un’energia vaticinante, si incarnava, si annodava al respiro, si confondeva con lo sguardo, con il movimento delle sue mani che accarezzavano l’aria.
Probabilmente ha rappresentato una forma particolarissima e singolare nell’esperienza della poesia italiana, e non solo di quella del Novecento. E’ una poesia che sembra senza riferimenti, senza precedenti, senza maestri, anche se impastata di mito, di occasioni colte e raffinate, di religiosità e misticismo assorbiti e rielaborati con l’esperienza personale. Ferroni, ancora, parla di una tessitura testuale ricca di sapienza e di passione, tramata di suggestioni di un mondo lontano, di parole perdute e indecifrabili.
Alda Merini aveva una poesia sostanzialmente interiore: libera, disinvolta, dirompente, irriverente, evocativa, simbolica, pietosa, insolente, umile, presuntuosa, intollerante, innocente, timida, spavalda, tenera, feroce, ironica, beffarda, lucida, devota, enigmatica. E’ stata un azzardo, un colpo di dadi. Ma c’è una cosa, una condizione, una sorta – come dire? – di sostanza vitale che l’attraversa tutta e che intreccia, che compatta i caratteri di frammentarietà che questa poesia talvolta manifesta, che la riconduce ad una unitarietà di sensibilità e di sentimento: la compassione.
Alda Merini ha compassione istintiva e affiorante nei confronti del mondo, dei destini delle creature; ha compassione per le cose che passano, per gli amori che si bruciano, per i fiori che appassiscono, per la bellezza che si oscura, per le storie che si spezzano, per il povero, il folle, il ricco, l’arrogante, per chi prega o bestemmia. Ha compassione per l’infelicità e la felicità, per la stupenda avventura di esistere, per le stelle che ardono, per la cenere che non cova più fuoco, per i giorni che muoiono. Ha compassione di sé, soprattutto, del suo essere come polvere o vento.