Alessandro Fo, Vecchi filmati

29-08-2006

Le cose-stella sugli anni in cantina, di Antonio Pane

Scorrendo Vecchi filmati, quinta raccolta poetica di Alessandro Fo –preceduta da Otto febbraio (Scheiwiller 1995), Giorni di scuola (Edimond 2000), Piccole poesie per banconote (Polistampa 2001), Corpuscolo (Einaudi 2004) e da varie plaquettes–, faccio sosta al «breve trattato» sui girasoli offerto in “Corollario”, sequenza di sedici poesie distribuite in tre parte discontinue che ne presidia la seconda e più ampia sezione. “Donne in corriera” (le altre si intitolano, cominciando dalla prima, “Vecchie maniere”, “Museo di Venere”, “Minimi omaggi”, “Salustri”). Già apparso, come titolo, in Otto febbraio, il girasole prende ora il risalto di una «immagine eponima»: quasi stemma del libro e, se possibile, di tutto l’itinerario creativo che presentemente vi approda. Il girasole è un perfetto esempio di fedeltà: ma la sua orbita ostinata –che contempla lo scarto dal profilo «maggioritario» attuato da corolle «ribelli», le «molte come viene, / in libertà» (n. 10) e perfino, a pensarci, la rotazione del sole “intorno al fiore» (n. 3)– insegna che «spostarsi favorisce la poesia» (n. 4).
Il lavoro poetico di fo, caparbiamente teso a un progetto ben definito ma disposto a un’estrema libertà di movimento, vi si può tranquillamente riflettere. Così questo nuovo libro è insieme, come suggerisce il titolo, un libro vecchio: non solo perché riconvoca, da sedi rare, alcune delle prove più antiche (ne segnalo qui le stupende “Città, teatri, corsi”, “Benedetta Ziffler” e, sebbene confinata “come stravaganza» nel conclusivo “Appunto” dell’autore, l’inedita “Guai con Alessandra”); ma perché riepiloga ancora una volta (e ancora una volta splendidamente) le qualità di una voce ormai inconfondibile. Può farlo, senza ripetersi (come dimostra la straordinaria tenuta del «provvisorio stradale» che muove le “donne in corriera”), proprio in quanto trova il suo principale alimento nelle volubili strenne del caso, nella precarietà del mondo. Può farlo, senza sfrangiarsi, stando fermo all’idea che il poeta deve adempiere una missione di salvezza (Pizzuto scrisse: «Ho pensato a quel riso nella notte della ragazza al buio col moroso in Campo Marzio che Orazio raccolse [Carmina, 1 9, 18-24] e che risuona ancora e per sempre nelle nostre anime commosse, dopo tanti secoli»).
Questa semplice, e si dica pure usurata, idea è l’astro che orienta le molteplici trame del testo, sospingendo a una luce formale quei fili di vita che un misterioso privilegio ha sottratto all’oblio. I beneficiari della grazia non sono ignoti ai lettori di Fo: la figura della madre scomparsa, l’amicizia, la bellezza femminile, le esistenze neglette, gli autori amati tornano ad animare anche questi versi, si protendono «a un futuro qualsiasi che s’imprima / quale possesso, in mente, che non passi». Se ci arrivano intatti, appena «spiccati» dal punto di spaziotempo in cui furono «vivi e presenti», ma già indelebili, quasi nel fulmineo passaggio dalla matita al bulino –il vanto è dell’artefice, il risultato denuncia la lucidità delle sue operazioni. Che sono limpide, ma non semplici. Per illustrarle basterà lo specimen di “Scala con bagagli (scende a Palasport)”, carme figurato o calligramma «a gradini» che si può leggere a partire dall’alto o dal basso, significando nel primo senso il percorso di una rassegnata catabasi, nell’altro quello di una liberatrice anabasi, e riproducendo nel suo insieme l’incessante su e giù del nastro mobile (figura, a sua volta, della inarrestabile ruota che convoglia le nostre sorti). La lavorazione di ciascun «pezzo» (dove continua ad avere grande rilievo la compattezza del tessuto sonoro: ricco di allitterazioni, paronomasie, calembours e di un prestigioso rimario) si prolunga nella struttura della raccolta con una fitta serie di rimandi intertestuali (penso allo struggente ciclo dei “Sentieri”, disseminato in tre sezioni, o all’incantevole “Studio con bimba piccola”, richiamato in due versi di “Scende a Piramide”). Insomma, l’allure «capricciosa», l’aria sventata di queste poesie non inganna. L’esumazione «di cose-stella su anni in cantina» (per citare un bel verso di Otto febbraio), l’albo devoto di lucenti reliquie della vita trascorsa è fatto per durare.