La limpidezza della lingua, di Alessandra Macchia
Trovandomi tra le mani questo piccolo libro di poesia del giovanissimo siciliano Alessandro Puglia, edito da Manni, con prefazione dell’illustre Umberto Piersanti, mi sono venute in mente le parole di Thomas Stearns Eliot che nel suo Che cos’è un classico? così si esprimeva: “[…] in qualsiasi nazione, la persistenza della creatività letteraria consiste nel mantenere un equilibrio cosciente fra la tradizione nel senso più ampio della parola — la personalità collettiva, per così dire, raggiunta nella letteratura del passato — e l’originalità della generazione vivente [...]”.
In una lunga dissertazione, il grande angloamericano analizza il rapporto tra il poeta ed i suoi predecessori e la difficoltà da parte delle giovani generazioni di affermare la loro individualità con risorse linguistiche opportunamente sviluppate.
Necessario, per Eliot, mantenere uno stretto rapporto con la tradizione poetica del passato per poter affermare una qualunque innovazione letteraria. Tuttavia, oggi (come del resto ieri), sono molti i poeti pronti a gettare le loro speranze nel futuro solo dopo aver scardinato ogni base preesistente, precludendosi così la possibilità di costruire un vero ponte capace di mantenere l’equilibrio tra passato e presente.
Difficile soprattutto riuscire a capire quali siano le tradizioni da salvaguardare e da condividere, anche se vogliamo limitarci alle più recenti, per poter arrivare a dei risultati innovativi. Il pensiero mi corre alle varie esperienze dell’avanguardia (dal futurismo al surrealismo fino al Gruppo 63), ma anche a tutti quegli autori di fama con tendenze orientate, invece, al classicismo, come Montale, Saba ecc.
Problema arduo da risolvere nella nostra epoca, visto che ci troviamo nel pieno di essa e, dunque, noncertamente facilitati a darne una valutazione critica. Non per nulla si assiste oggi ad un profondo decadimento della poesia contemporanea, rimasta ormai un genere quasi senza pubblico.
Il merito di Alessandro Puglia, in quest’ingrato panorama, è quello di essere riuscito ad esprimere la sua poetica rimanendo fedele a se stesso e, coraggiosamente lontano da ogni distruttiva “contaminazione”, di essersi fatto equilibrato interprete della società in cui si vive.
Umberto Piersanti, nella sua prefazione, pone l’accento proprio sull’individualità di questo giovane autore, rimarcando la distanza della sua poesia “[…] sia dal gonfiore barocco che dal cerebralismo intellettuale tipico della Sicilia e in qualche modo riguardante tanta scrittura del nostro Meridione [...]”, ma anche dal “minimale” e dal “prosastico”, di moda tra i giovani poeti d’ambiente “milanese-padano”.
L’originalità del dettato poetico si avverte pienamente in queste liriche, caratterizzate da una forma breve ed un contenuto intenso, e produce un’inattesa sensazione di freschezza e leggerezza nel lettore: indispensabile anticamera per una piena condivisione e comunicazione.
I versi si snodano infatti semplici ed armoniosi, opportunamente spezzati da spazi che dànno respiro ai testi, utilizzando il comprensibilissimo linguaggio della nostra quotidianità (retaggio di una lingua attraverso la storia di secoli), senza tuttavia risultare mai banali né superficiali. Emerge inoltre, tra i versi, una ricca gamma di sentimenti. Si parla di affetti, di amicizia, di amore e vi sono qua e là pennellate luminose capaci di descrivere con pochi tocchi un intero paesaggio. I toni restano sempre delicati, spesso pervasi di struggente nostalgia per ciò che Alessandro percepisce come perduto, ma sempre profondamente radicati alla quotidianità, alla sua vita di ragazzo, lontani mille miglia dalla povertà e volgarità di espressione e pensiero così diffuse nel mondo giovanile: “Non mi sono dimenticato/ della tua giacca grigio scuro/ sopra la maglietta,/ nel viavai delle cose comuni/ il tuo pensiero resta,/ appaiato alla mia nostalgia.// Ancora mi giro/ per vedere se dietro di me/ ci sei tu che intoni un canto”.
Ne risulta un insieme armonioso, “equilibrato”, vicino a quell’“equilibrio cosciente” di cui parlava Eliot.
L’ombrellone che dà il titolo a questo volume, come nota Piersanti, non è identificabile con quegli oggetti che tutti conosciamo, allineati in lunghe file sulle spiagge. “Presto appariva/ quando per primi/ alla mattina/ scendevate al mare […] L’ho visto/ quell’ombrellone solo/ in quel che rimaneva [...]”; indicativi questi ultimi versi. L’ombrellone, attinente al mondo del mare, che tanta parte ha nella poesia di Puglia, sembra perdere d’un tratto il suo significato di “oggetto” ed assurge a simbolo. Quasi l’autore intravedesse in quella forma concreta e quotidiana la proiezione di se stesso, “solo/ in quel che rimaneva”. Solo, come si sente ogni uomo improvvisamente cosciente del proprio esistere, ma capace, con la limpidezza della sua lingua, di comunicarlo agli altri.