Alessio Cassini, L'Ultimo Libro

07-05-2005

Una fogliata di libri, di Alessandra Iadicicco


Troppo latino per essere un iperboreo, troppo giovane per scrivere l’ultimo libro. Ma Alessio Cassini, romano, trentatreenne, rischiava quasi di entrare per davvero con il suo romanzo di esordio – L’Ultimo Libro, appunto – nel catalogo delle iperboree edizioni, colonia mediterranea e mediolanense del Grande Nord. Non fosse che l’anagrafe e la nazionalità impedivano al debuttante di iscrivere il proprio tra i titoli del più completo registro italiano di letteratura scandinava: a quegli elenchi non si accede che per diritto di nascita. Tuttavia, colei che - per meriti acquisiti - è l’unica italiana (l’unica donna) titolare dell’insegna di Cavaliere dell’Ordine della Stella Polare, conferitagli dagli svedesi anni fa – e cioè Emilia Lodigiani, direttrice editoriale di Iperborea – non poteva restare indifferente alla storia di chi, cresciuto dentro una biblioteca di narrativa nordica, aspirava a infilarsi negli stessi scaffali dei suoi autori. Apprezzò il dattiloscritto di L’Ultimo Libro, tutto qui. E, colpita dalla scrittura notevole, gli slanci visionari, l’energia della trama, le ambizioni esorbitanti (che puntavano anacronisticamente agli estremi, geograficamente agli antipodi), incoraggiò lo scrittore a proseguire, senza farsi scoraggiare dai (propri) rifiuti. Ora, sotto i buoni auspici della polare costellazione, è un’altra piccola casa editrice di pregio a stampare lo scritto di Cassini. Che rompe con l’ultimo libro/opera prima barriere, frontiere, dazi doganali e soglie temporali. Per seguire l’autore insieme con i lettori nelle taverne berlinesi prima e, poi, sulle tracce e in compagnia dello spirito di Strindberg, nelle Oslo, Stoccolma, Stromfiord e Copenaghen di un avvenire poco lontano popolato di artisti di un passato non più prossimo. E’ uno strano racconto che, nel peggiore dei casi, fa perdere la bussola: ma alla fine l’orientamento si ritrova, puntando a Nord. Un testo schizofrenico: fantapolitico, fantaletterario, scritto in prima persona suona autobiografico. E forse lo è.