Lui, lei e l’incomunicabilità dell’amore, di Claudia Presicce
Incomprensione: è la parola che viene in mente nell’arco di tutta la lettura di Senzatesta di Alexandra La Capria.
Non è un libro di racconti, ma di dialoghi botta e risposta, definiti nel sottotitolo rosafragola e noir. In realtà rappresentano visivamente quella che negli anni Settanta si sarebbe definita “incomunicabilità” tra uomo e donna, l’alienazione, il vuoto che si frappone tra due esseri umani che cercano e si sforzano di interagire.
Sospesi tra il gioco amaro e una realtà surreale, tra un’analisi umana spicciola e una continua provocazione, i protagonisti di queste piccole storie vedono dipanare le loro esistenze comuni tra i mille errori quotidiani, tra i gangli inutili in cui spesso si avviluppano le esperienze sentimentali, soprattutto in odore di conclusione.
In due parole: quando le persone non si capiscono è come assistere ad un incontro tra due animali di razza diversa che si annusano, si assaggiano, magari si massacrano per provare a conoscersi, ma difficilmente comunicano.
Uno di fronte all’altro armati: emergono gli errori di valutazione che si crede di aver fatto guardando l’altro, l’insistenza nei confronti della fedeltà dell’altro, che coincide con l’insicurezza in sé stessi, la debolezza e la vulnerabilità degli esseri umani di fronte alla possibilità di perdere qualcosa, sia pure se questo qualcosa ci fa male. E poi emerge la gelosia, un’emergenza interiore che ha varie forme. In Non c’è due senza tre ha le sottili vesti dell’invidia, della rivalità, ma è sempre frutto di arroganza e di quella eccessiva sicurezza che ci rende ciechi.
Quale è il substrato in cui questi veri duelli, sia pur dialettici, trovano humus e nutrimento? La violenza: sia quella innata della natura umana che quella provocata dalle frustrazioni di una società che timbra la pelle, di chi si fa trascinare via, con il marchio dell’insoddisfazione. E poi c’è la volontà sorda, spesso del maschio, di imporre la propria visione del mondo: nel racconto Senzatesta emerge come in un quadro già visto mille volte. L’uomo è sempre “il più forte”, così gli hanno insegnato: e, anche se la vita cerca di convincerlo del contrario prendendolo a schiaffi, quasi mai lo capisce in tempo.
In amore non è più forte chi grida di più, né chi è più armato, o più potente perché gioca a dirigere le azioni. È più forte chi ama veramente, chi è meno distratto da sé stesso nell’arco di una storia, chi guarda, cerca di capire e “pesare” chi ha accanto; e solo lui ha l’esatta percezione della fine, se questa arriva, quindi non ha paura. E solo lui può farsi convincere e fare un passo indietro, ma solo di fronte ad una persona sincera.
Questi dialoghi, serrati tanto da non lasciare nessuno spazio alla descrizione dei personaggi, dei luoghi, del tempo, puntano un riflettore su una voce, come su un palcoscenico buio. Non è un caso perché l’autrice, figlia di Ilaria Occhini e Raffaele La Capria, è un’attrice e ha lavorato con Gabriele Lavia, con Ugo Pagliai e Paola Gassman. Senzatesta è stato infatti rappresentato a teatro negli anni Novanta, a Todi nel ’92 e Benevento nel ’97.