Andrea Ambrogetti, Ode ai corpi fisici

05-12-2010

La scena di Ambrogetti, di Silvana Baroni 

 
Il tempo che noi conosciamo non è altro che vita che scorre nel corpo. Idealizzare il corpo equivarrebbe a idealizzare il tempo, a fissarlo ad una estetica d’eternità.
Ma se l’eternità e il tempo del corpo si confondono (sym-bállein) già muta l’atmosfera, tutto s’accorda: avvenire e passato, non più pensati come contrari, divengono inseparabili. Quindi avere il corpo vuol dire essere ora, ma anche da sempre e per sempre.
Contrariamente a Platone, nel suo Fedone: “…così, liberati dalla follia del corpo, ci troveremo con esseri puri come noi e conosceremo, nella purezza della nostra anima, tutto ciò ch’è puro…”, in Andrea Ambrogetti il corpo torna ad essere l’antico dorico skâná, da cui deriva la scena, il teatro, il luogo della rappresentazione.
Il corpo, quindi, non è più metafora ma luogo dove si genera senso, dove i simboli circolano fluttuando, dove tutto è condivisibile, polisemico.
In questo libro il linguaggio s’impone, diviene tramite sciamanico, aggregazione, libertà: in esso è lecito delirare, oltrepassare il limite d’ogni solitudine, dilagare nell’atto di scambio.
Il corpo non è ridotto alla limitatezza dell’organismo ma è luogo di mitologia, espansione oltre il dolore; recuperatosi in qualità di materia, il corpo inscena rituali d’immanenza contro ogni necessità di trascendenza.
Il nostro poeta sa che sono proprio i corpi a caricare i simboli d’energia, garantendone una circolazione collettiva, perché il corpo è il dono incessante, l’irradiazione d’un accumulo di valore.
Quando si cospira con la bellezza, ogni ambivalenza è sostituita dalla univocità; più non servono gli aneliti all’immortalità, si è fuori dal tempo.
In questi versi la fisica del desiderio sostituisce la fisica del potere, scompare il dissenso, tutto diviene non-senso, nel significato di esistenza.
Il poeta non ha compiti da svolgere, né vuole sedurci con procedimenti inusuali della tecnica, avanguardismi sterili; eppure noi lettori cadiamo felicemente nell’innesco dei suoi processi creativi, sedotti dalla incisiva sua volontà di fornirci immagini, richiami meditativi, definizioni sferzanti e liberatorie. Andrea Ambrogetti ci obbliga a penetrare la sua materia espositiva, a vivere la magia di un linguaggio esperto, duttile ai frammenti narrativi, al miniaturizzarsi delle atmosfere attorno alla magia dei “corpi fisici”.
Perché lui sa ch’è solo il corpo a fornirci il tempo della conoscenza, e soltanto i poeti a direi l taciuto, le parole che chiamano in gioco, come dice Heidegger …i mortali e i divini, la terra e il cielo…