Andrea Marchesani, Forma imperfetta

01-01-2008

Autoironia e dolore, di Stefano Verdino

“Il testo che fa acqua un po’ dovunque / (e così sia): colabrodo la mia poesia”, si legge a p. 72 di La forma imperfetta di Andrea Marchesani (classe 1969), al suo secondo libro di versi. Non poca è l’autoironia di un giovane autore, quanto mai calibrato nella misura formale, che d’uso contempla un breve giro di versi, molto elaborati sul piano del ritmo, quanto “facili” (all’apparenza) nel lessico, ma pure con un movimento meditativo non semplice. Proprio la non comune esigenza espressiva porta Marchesani a più di un intervento sulla lingua, sull’espressione e il verso: “Nella lingua vibra / la violenza, la ferocia”, “quando poi s’acquieta / riverbera sospesa / nella memoria”; è un nesso non facile quello tra la lingua e l’uomo, ancor più arduo è il caso del poeta con le parole (“lascia / che si dispongano da sole”), che comportano sempre un “lampo” e una “scia” di sonorità da “tuono”. Anche la partita tra i versi e la vita è tutt’altro che facile, senza illusione: “stringi in mano queste pagine / ti chiedi se ti possono / portare in qualche luogo / e guarda loro / proprio no, non possono”, ma nello stesso tempo – con felice paradosso – si dice anche “unguento lenitivo questo inchiostro” nei confronti delle “ferite” dell’esistenza.
In questo ambito registro una parola decisamente dominante e pervasiva, quanto mai frontale: “dolore” (“il mio sguardo / riconosce un dolore”; “Sentirò solo io il mio dolore”; “Dolore che si cura / con paziente dolore”; “Ho sentito un dolore”; “Quello che vedi sulla mia di faccia / è il mio dolore”). Ma questa parola, tanto presente, è in tanta totalità come una pietra ben evidente, quanto intimamente impenetrabile; e la poesia di Marchesani, nella sua discrezione, non ha voglia di esibizionismi personali, si mantiene – con felicità – in una tensione ‘generale’ (se si vuole anche metafisica) di tale parola, che però è avvertita in tutta la sua gravezza: “Come una valigia senza la maniglia. // Come un dolore che persiste, resta, / ma di lì non si sposta. // Una grossa valigia, pesante / che nemmeno a calci e pugni. // Senza rotelle”. Trovo questa breve poesia assai convincente, anche per la similitudine quotidiana e calzante, nitida, ma anche icastica e abbreviata, secondo una strategia stilistica, che mi pare la cifra di Marchesani: egli infatti lavora soprattutto di sottrazione, in modo che il verso abbia più possibilità di riverbero e suggestione; a mo’ di congedo segnalo l’originale poesia naturalistico-primaverile Tu lo diresti morto: “Tortuoso. // Contorto. // Un ramo secco pare, ma non è morto. /// Tranquillo. / Silente. // Sottile, // traspira. // Tu lo diresti morto, ma lui respira. /// D’un tratto: germoglia. // Non sono nato pianta, ma ne avrei voglia”.