Il libro di Andrea Mulas esce in un momento particolarmente significativo per la storia cilena, mentre, gettata alle spalle la buia eredità di Pinochet, il Paese riflette sul suo passato e sulla esperienza dei tre anni del governo di Salvador Allende. Una riflessione che non ci è estranea, vista la grande influenza che gli avvenimenti cileni ebbero sulla politica italiana. E di questo si tratta nello studio di Mulas che, per discutere del compromesso storico italiano, parte da lontano. Inquadra intanto l’esperienza cilena nel contesto latinoamericano, segnato profondamente dall’esperienza della rivoluzione cubana. Ma tutti i tentativi di trasferire sul continente l’esperienza vittoriosa di Fidel Castro e dei suoi compagni conoscono una lunga serie di sconfitte e fallimenti in quasi tutti i Paesi latinoamericani. Avviene così che iniziano a farsi strada le idee di transizione democratica al socialismo bollate immediatamente da Cuba come errate e “di destra”. D’altra parte in contrapposizione alla rivoluzione cubana gli Stati Uniti con Kennedy lanciavano l’Alleanza per il progresso, che avrebbe dovuto favorire le esperienze democratico-liberali favorendo lo sviluppo economico e il consolidamento delle borghesia locali. Ma nella grande maggioranza dei Paesi latino-americani prevalsero le preoccupazioni dei militari e fu la repressione contro i “fuochi di guerriglia” e una serie di colpi di stato autoritari che negarono le basi stesse della impostazione kennediana dell’Alleanza per il progresso. Con l’eccezione del Cile dove i governi democristiani di Eduardo Frei tentarono di applicare i principi di sviluppo economico, grazie a ingenti aiuti statunitensi in un clima democratico, ma alla vigilia dell’esperienza Allende anche questa esperienza poteva considerarsi fallita. Scrive Mulas dopo aver illustrato i risultati economici del tutto negativi dei governi Frei: «Si evince […] il fallimento del programma freista (ammesso dallo stesso presidente ad Allende: «la tua vittoria, Salvador, rappresenta per me una grande sconfitta»), complementare a quello della “Alianza para el Progresso”, come pubblicamente riconosciuto nell’ottobre del 1969 anche dal presidente Nixon». È su questo sfondo che Salvador Allende tenta una esperienza del tutto nuova, ma sono proprio queste condizioni generali a determinare le enormi difficoltà che il governo di Unità Popolare si trova a fronteggiare. «Occorre sottolineare, scrive Mulas, l’importanza fondamentale che ebbero il sottosviluppo e la dipendenza dell’economia cilena […] furono più deleterie per il governo di Allende la recessione dell’Europa occidentale del 1971-72 (che provocò la caduta del prezzo del rame) e la ripercussione sulla bilancia dei pagamenti dell’inflazione internazionale che i mutamenti di struttura economica e sociale avviati in Cile». Il governo Allende si pone con audacia e determinazione il problema di dare al Paese indipendenza economica come base per uno sviluppo che favorisca i ceti meno abbienti. Ma proprio questa politica suscita sospetti e ostilità soprattutto a Washington, ma ovviamente anche tra le classi dirigenti cilene La “pericolosità” della politica di Allende non sfugge a Henry Kissinger che intuisce immediatamente che: «lo sviluppo politico del Cile è gravido di pericoli per la sicurezza nazionale degli Stati uniti, a causa delle influenze che può esercitare sulla Francia e sull’Italia». Per il segretario di Stato americano la via democratica cilena appare ben più pericolosa dei sterili tentativi guerriglieri, non solo per la salvaguardia del “cortile di casa” latino-americano, ma per più vasti equilibri mondiali. E così fin dal primo momento gli Stati uniti intervengono pesantemente nella vita politica cilena per rendere difficile, se non impossibile il successo dell’esperimento diAllende. Interventi di ogni tipo: dal finanziamento dei partiti d’opposizione, alla costituzione di reti clandestine di spionaggio e sovversione, fino agli interventi tesi a far dimenticare all’esercito cileno la sua tradizione (molto rara in America latina) di non intervento nella vita politica del Paese. Queste azioni, come sappiamo sfoceranno nel colpo di Stato del generale Augusto Pinochet e nell’assassinio del presidente Allende. Ma l’analisi di Andrea Mulas non si limita a documentare l’ingerenza statunitense, ma analizza le debolezze interne della coalizione e le difficoltà istituzionali. Allende diventa presidente senza avere la maggioranza del Paese e governa con un Parlamento ostile e, a parte alcune eccezioni, sordo alle aperture del presidente convinto tuttavia di poter «usare un potere forte, la presidenza, per modificare radicalmente la società cilena […] a condizione però di far pesare sulle strutture statali, ancora influenzate da forze reazionarie e conservatrici la forza del popolo mobilitato». Tuttavia non va dimenticato che nelle elezioni comunali tenutesi durante la presidenza Allende la coalizione di Unità popolare moltiplica i suffragi sfiorando il 50% dell’elettorato. Ma come sappiamo questo non bastò. «Il fallimento del tentativo allendista, scrive Andrea Mulas, aveva prodotto una grave lacerazione nella sinistra socialista e comunista non solo in Cile, ma anche in Italia, perché da un lato metteva in crisi il tipo di strategia gradualista dominante nei partiti comunisti occidentali, e dall’altro non riusciva a indicare una strategia alternativa che avesse serie prospettive di successo che non fosse quella della guerriglia». Ma c’era un’altra via, quella che in Italia tentò Enrico Berlinguer dando vita alla strategia del compromesso storico, analizzata nell’ultima parte del libro alla luce dell’esperienza cilena. Una luce che aiuta a capire meglio anche quelle vicissitudini che segnarono profondamente la vita politica italiana e sulle quali non si è mai riflettuto a sufficienza. Questo studio offre una occasione preziosa per ripensare non solo al passato, ma alle prospettive italiane dell’oggi.