Andrea Zanzotto, Sull'altopiano

21-01-2008
Dove il sole non invecchia, di Alessandro Puglia

C’è un altopiano nella letteratura italiana dove il sole non invecchia, dove un odore riporta fuori dall’irreparabile dissolversi del tempo. È un altopiano morbido, ma circondato da vette di inquietudine dove si ripete un ritmo ciclico privo di certezze e colmo di ricordi. Da quelle linee adolescenti disegnate dalla natura, viene riproposta oggi la raccolta dei racconti e prose di Andrea Zanzotto, Sull’altopiano, arricchita da un’appendice di inediti giovanili e a cura di Francesco Carbognin.  Fuori da ogni gusto iperletterario questa edizione ci consegna il senso intatto di un’elegia, un tempo idillico che ogni qualvolta è rifiutato tende subito ad una stretta riconciliazione. Non c’è dunque un’antologia della natura, ma un vivere dentro il paesaggio consegnando i colori delle stagioni alle loro cose. Una lunga ripresa in cui si affacciano le ansie e le paure di un destino immobile, dove la vita è guardata con una piccola lanterna cieca, sapendo che essa può spegnersi o può cadere. Le ustioni dell’adolescenza si uniscono alla sintesi della saggezza, lasciando intatti quegli attimi poetici che si depositano nel nostro vivere. È una natura in cui da farfalla si può regredire a larva, ma in cui chi siede al focolare può non badare ai giorni, distogliendosi in un tempo astratto e sublime. Il tempo di Andrea Zanzotto, dove donne tristi, vestite di nero, lasciano i loro sentimenti di colpa e si incontrano voci di zucchero: un tempo dilatato dove una folla di stelle «sembrava attendere, palpitando, qualche cosa». Nella rincorsa al tempo appare il luogo intatto e senza età: quando in pomeriggi silenziosi il sole intorpidiva i greppi e «i monti, più oltre, come vagheggiati dalla memoria conducevano all’ultimo gorgo del giorno le loro linee di silenzio e ci lasciavano soli con la nostra stanchezza e con i nostri dubbi». Crepuscoli, risvegli pomeridiani, paradisi freddi e tramonti sempre più lontani fanno vibrare la pagina di un’intensa e richiamata nostalgia. Tuttavia, al di là di quell’irrecuperabile senso della perdita una luce splende forte sull’altopiano: «il liquore di ciliegie fresche», «il volto soave della serra» e «il profumo di foglie violate che veniva dalla vigne» si unisce a quel sapore terreno e lucente della polenta. «Mammina Luce» è già dietro quella superficie morbida ed estesa e nella pienezza di quel mondo remoto Zanzotto indica quella lontana sera del dì di festa.