01/02/2009 - l'alambicco
Le donne giudicano le donne, di Elisabetta Liguori
Le donne giudicano le donne, l’hanno sempre fatto ed è forse questa la vera differenza tra i sessi. La donna che Angela Scarparo racconta nel suo ultimo romanzo - L’arte di comandare gli uomini - edito da Manni è, infatti, una donna sotto osservazione.
Un’autrice impietosa, la Scarparo, appassionata sempre, intenerita a volte, appare lucidissima nel descrivere questo suo personaggio:
Elisa Dentera, donna inetta, inadeguata, irresponsabile, icona di una generazione, di un luogo, di un’epoca. Una donna senza arte (né parte). Perché farne l’eroina di un romanzo? A mio avviso, questo bisogno esistenziale, sociale, a volte letterario, a volte relazionale, che hanno le donne di raccontare e valutare le altre donne, tutte le donne diverse, e con quelle il mondo intero, ha molto a che fare con la ricerca della felicità. La felicità è un tema che riguarda tutti. Anche Elisa cerca la felicità, ci crede, la pretende dagli altri, s’accanisce nel creare le condizioni che lei reputa le migliori per procurarsela, ma fallisce sempre. Lei non è capace. La felicità sembra a portata di mano, è lì per tutti, eppure Elisa non è capace.
Il titolo del romanzo, che pure ben presto si rivela al lettore come una contraddizione, un inganno, un gioco ironico, altro non è che un enorme desiderio tradito. Un desiderio collettivo senza speranza.
Elisa è colta dall’autrice in un breve arco temporale, in uno spazio fisico e geografico circoscritto, eppure la trasformazione (la sua disillusione, il raggiungimento della consapevolezza) operata nel tempo del racconto appare enorme a chi legge.
Pare venire da molto lontano, da generazioni, da decenni di storia, da molti altri luoghi fisici ed altre donne venute prima, dalla tivù e dal cinema.
Perché è la forza della vera letteratura quella di descrivere uno spigolo, lasciando intuire tutto lo spazio intorno. Illuminare un dettaglio per rivelare il buio circostante.
Elisa fatica a capire, perché lei non è una donna vera, lei è un prototipo, un oggetto creato per facilitare l’osservazione.
Lei è vittima esemplare del suo tempo. In altra epoca sarebbe stata, forse, una donna migliore, legittimata e ben felice di poggiare sull’uomo tutta la propria fragilità, di rinunciare ad ogni scelta e galleggiare mollemente nella propria inconsistente materia, lasciandosi trasportare dal caso. Vive invece anni che richiedono doti di autonomia, coraggio, controllo, ed è chiamata a confrontarsi di continuo con i suoi simili: altre donne, altri uomini, spesso con i propri famigliari.
Elisa è solo respiro e qualche bella immagine. Lei ha bisogno solo di soldi. Se ci fossero quelli, lei ne sembra certa, sarebbe felice.
Elisa ha soltanto un’idea vaga di sé, però è un’idea che cresce col romanzo, attraverso l’uso di una lingua scarna, rapida, precisa. Nessun evento eclatante: per l’evoluzione del suo personaggio, alla Scarparo sono sufficienti piccole azioni, gesti minimi, brevi percorsi d’autobus, passeggiate notturne, boccali di birra, pensieri volatili che lasciano solo intuire l’esistenza di una passione, di un confine.
Elisa è una donna borderline la cui unica possibilità di salvezza è celata in qualche piccola passione, semplice ed astratta, da cinema o letteratura, che riesca a preservarla dalla morte.
Questa passione per sua fortuna coincide con quella vaga idea di felicità che le consentirà gradualmente di comprendere se stessa e da se stessa prendere le giuste distanze. Mentre gli uomini, altrettanto piccoli, inetti, lenti, nevrotici, restano a far sogni mediocremente o poeticamente truffaldini, Elisa resta da sola.
Angela Scarparo la immagina così.
Peggio sarebbe stato per lei vivere nella confusione, invece no: Elisa scopre di essere libera. Zoppa, instabile, arruffona, ma libera di dare il senso che desidera all’arte del nulla.
05/03/2009 - La Gazzetta del Mezzogiorno
Buon partito per una donna, di Nicola Signorile
Alla fine si torna sempre a dondolare sui tacchi delle Ferragamo. Uno che ti mantiene, forse non lo troverai. Ma l’obiettivo rimane lì, a portata di mano: il profumo giusto, le scarpe alla moda…
L’ultima romanzo della brindisina Angela Scarparo mette dinanzi agli occhi del lettore l’esistenza nevrotica di Elisa Dentiera, quasi quarantenne il cui scopo sembra racchiudersi tutto nella ricerca di qualcuno che la mantenga, dopo aver perduto l’amore di Riccardo Quai, e con esso sia il lavoro che l’assegno mensile. Bisogna sostituire la fonte di reddito ma l’impresa non è facile, per una donna alle prese con l’angoscia per la bellezza che sfiorisce, il rapporto col proprio corpo troppo magro, ma in definitiva della taglia giusta per indossare un tailleur azzurro di Versace, anziché la solita tuta fiorata.
Elisa è preda di una coazione allo shopping, sta dentro l’universo della moda e dei marchi che ha trovato la sua espressione settaria più scintillante, dieci anni fa nella tedesca Elke Naters, autrice di un Regine subito tradotto in italiano per Bollati Boringhieri. Come Gloria e Marie, le protagoniste di Regine, Elisa «deve» vivere al di sopra delle proprie possibilità economiche. L’arte di comandare gli uomini però non le appartiene: il titolo del suo romanzo è un titolo all’inverso, alla maniera di Zola. Non ha un lavoro, pur essendo avvocata, e ne vorrebbe uno (forse), ma non le riesce di sedurre nessuno che possa aiutarla. Non l’amico gioielliere e nemmeno l’autista di un noto avvocato, che da parte sua cerca di coinvolgerla in un furto ai danni del proprio principale. Elisa pianterà in asso il complice, ma non per pentimento o rigurgito di onestà: solo perché «non sono capace di ribellarmi», avendole lui detto che il furto era un atto di ribellione verso il datore di lavoro.
Non troverà conforto nemmeno nella famiglia: un coacervo di risentimenti e meschinità, con lo zio che l’ha depredata della eredità, la nonna da cui è stata allevata che le rimprovera l’assenza e la condotta, la sorella minore che, dopo il suo trasferimento a Roma, s’è fatta carico di custodire – ma a prezzo di quali frustrazioni! – quel che rimaneva di una famiglia (ritorna il tema di un precedente romanzo di Scarparo: Disturbando famiglie felici).
A sua sorella Chicchi, Elisa è stretta da un legame amaro. Entrambe non hanno la vita che avrebbero voluto vivere. Una è la caricatura della ribelle, l’altra la caricatura dell’ordinata, ammetterà Chicchi. «Tutti quelli che sono costretti a fare una vita che non si scelgono sono così. Invidiosi. Invidiosi», accuserà Elisa.
Il viaggio a Milano, nella città della sua infanzia e della famiglia, sarà catastrofico per Elisa, costretta ad abitare in un albergaccio alle spalle della ferrovia. Alla fine accetterà i cinquecento euro con cui l’avido zio Renato compera il suo silenzio. E tornerà a Roma, dietro la porta di Riccardo Quai, continuando ad indossare la maschera grottesca di una donna dell’epoca post-femminista, che pronuncia parole diverse da quelle che pensa, inseguendo una strategia delle relazioni umane che inciampa su una serie infinita di errori di calcolo.
La struttura narrativa è da fiction televisiva, nella piatta sequenza cronologica, con un narratore schiacciato sulla personalità della protagonista, nel continuo alternarsi di dialogo esplicito e dialogo muto. Una lingua depauperata, che talvolta si concede a registri bassi («se la stava tirando a proprietario») ma raramente al dialetto e in questi casi sempre prendendone le distanze. Una lingua vuota, come l’esistenza di questa donna che non vorrebbe mai assomigliare a «quella pazza isterica» dell’Aglaja di Dostoevskij. Magari ad Anna Karenina, se non finisse sotto un treno.
05/03/2009- La Repubblica - Bari
Comandare gli uomini, un manuale
Quello di avere la meglio sugli uomini è un sogno tutto al femminile. Lo racconta Angela Scarparo nel suo libro L'arte di comandare gli uomini (Manni editori). la scrittrice è alle 18 nella libreria Laterza di bari per presentare la storia di Elisa, donna sola, nevrotica e infantile che non riesce ad accettare l'idea di essere lasciata dal suo compagno l'avvocato Quai. la possibilità di un nuovo amore con Valerio, ladro interessato a lei solo per coinvolgerlo nel suo prossimo furto, la porta a chiedere conforto in famiglia. ma è qui che Elisa scopre quanto le donne siano simili: tutte a patire l'immaturità maschile senza tralasciare la propria. All'incontro di oggi partecipano Antonia Guerra, Pasquale Voza e Antonella Agostino. L'autrice è nata a Brindisi ma vive a Roma dove lavora come sceneggiatrice.
06/03/2009 – www.barilive.it
Elisa, inetta schiava degli uomini, di Lorenzo Vendemiale
‘Inetto è un termine classico, novecentesco, evocante una tradizione infinita. Ma qui la svolta è improvvisa: la protagonista è una donna. Che vive una storia di melanconica atonia, più che d’inettitudine, affetta da fastidiosa e immedicabile passività. La subordinazione emotiva alla figura maschile e l’incapacità di dominare sé stessa, è solo una parte del dramma femminile di vivere in uno stato di perenne e moraviana crisi nervosa ed eccitata’.
Impossibile andar oltre. Basterebbe un punto. Perché è sufficiente riassumere la suadente e totale presentazione di Pasquale Voza, per parlare esaurientemente dell’ultima fatica di Angela Scarparo, brindisina scrittrice, di romanzi e sceneggiature cinematografiche. ‘L’arte di comandare gli uomini’. Un titolo assertivo, deciso. E volutamente (?) antitetico alla fragilità tragicamente snervante della protagonista Elisa. Sola, nevrotica, infantile; incapace di accettare che l’avvocato Quai, il suo compagno storico, la lasci, e soprattutto che non la mantenga; incerta se iniziare una nuova storia d’amore con Valerio, un giovane ladro interessato solo per motivi ‘professionali’; destabilizzata dal pandorico turbinio d’una famiglia travagliata ed egoista.
Un’inetta, intellettuale. Un’ “inettettuale”, come si autodefinisce, coniando un infelice neologismo, che rende conto di tutta la sua stigmatica e connaturata sgraziatezza.
Attuale e scolasticamente citazionista. Così potremmo definire l’opera della Scarparo, che si muove in maniera fin troppo esplicita tra il decadentismo di Svevo, e il neorealismo di Moravia, di cui realizza una moderna e femminile fusione contenutistico-formale. Un impianto narrativo sagace, rende conto della crisi rimuginante della protagonista attraverso una scrittura realista, dallo stile estenuantemente miniaturista ed insistito. Le pagine scorrono grigie, come l’insulsa quotidianità di Elisa, vittima della doppia dialogicità tra pensieri e parole. Un meccanismo perverso che finisce per coinvolgere tutti i personaggi del romanzo, in un continuo e morboso ripiegamento su sé stessi. Sintomatica d’una precarietà psicologica dell’identità di uomo, o meglio, di donna.
Di genuino c’è questo soprattutto. Un libro sul male di vivere, introducendo una terza citazione. Ottant’anni dopo Montale, nell’età dell’individualismo di massa, della realtà del simulacro, della paralisi emotiva e dell’apatia esistenziale delle nuove generazioni. Che l’irruente intervento dell’autrice investe d’un livore femministico forse eccessivo, a cui in fondo non corrispondono le pagine d’un libro dolcemente femminile. ‘Ho voluto scrivere una storia di ribellione. Perché noi donne dobbiamo ribellarci alle logiche del mondo maschile! Elisa reagisce come facciamo tutte, dissociando il corpo dalla mente, inchiodando. Ma poi, alla fine riuscirà a ripartire, a ripartire da sé stessa, da sola, senza più dipendenze!’. Insomma, una rielaborazione moderna e femminile dello Zeno sveviano. ‘La scena di quest’Elisa, che si libera del goffo ed insidiante poetastro, e va via da sola, è bellissima’. Per la sua riuscita garantisce Pasquale Voza. Con le cui parole così come abbiamo aperto chiudiamo, in omaggio alla sua sublime recensione, che carica il libro d’un aspettativa probabilmente insoddisfabile.
24/04/2009 - Style-Il Corriere della Sera
I libri, di Beppe Benvenuto
Brindisina, femminista doc, vive a Roma.
Elisa è piuttosto "inetta", alle prese con amori complicati. A farle corona, un gruppo di donne, a loro volta sofferenti.
"Era tutta contenta. Non si rendeva conto che lui aveva avuto fretta di portarla a dormire. Pensava solo che nei giorni seguenti ce l'avrebbe messa tutta per sembrasre più bella..."
Racconto ironico, malgrado un piglio, a tratti, militante.
Angela Scarparo, autrice a suo modo navigata, alle prese con una storia dura e per nulla politicamente corretta.
11/03/2009 – Paese Nuovo
Le streghe sono tornate?, di Maddalena Mongiò
“Tremate, tremate le streghe son tornate”. Erano gli anni ’70 e il movimento femminista dettava nuove regole del gioco in quella eterna partita a scacchi che è il rapporto uomo donna. Era un movimento di rivendicazione, rimasto come un’icona nell’immaginario collettivo per i suoi gesti fortemente simbolici. Reggiseno bruciati nelle piazze, slogan ad effetto, battaglie vinte colpo su colpo. Divorzio, aborto, libertà sessuale, parità di diritti. Roba da far morire di invidia noi poveri sgarrupati rintontiti dal tam tam sulla sicurezza, il testamento biologico, le gaffe del premier, le ronde, l’incertezza della pena e del domani. Cosa è rimasto del movimento femminista? Un’illuminante risposta ce la offre Angela Scarparo con il suo ultimo romanzo L’arte di comandare gli uomini. Il romanzo si legge d’un fiato e tratteggia con assoluto verismo la navigazione incerta delle donne post femministe. Il baricentro della narrazione ha come punto fermo Elisa che, dopo aver ricevuto il fatidico addio dal suo facoltoso compagno, precipita nel caos di una vita tutta da ripensare. Donne sull’orlo di una crisi di nervi intitolava Almodóvar un suo premiatissimo film, ed è di queste donne che ci racconta Angela Scarparo. Dopo aver cavalcato le battaglie per la parità dei diritti tra i sessi per l’affermazione professionale, per l’emancipazione, Elisa sbatte in faccia al lettore la sua distanza siderale da quel mondo e da quelle aspettative. Così il lettore si ritrova a seguire questa giovane donna nella sua segreta speranza di ritrovare l’amore perduto o al peggio un altro uomo che si prenda cura di lei. Questa ricerca, raccontata con abilità da Angela Scarparo, è un percorso senza speranza verso uomini con poca voglia di dare. L’avvocato Quai: l’amore rimpianto. Valerio: la possibilità di un amore. Due uomini, due vissuti. Uno avvocato di successo, l’altro ladruncolo in attesa del colpo grosso. Unico legame tra loro Elisa e la disperazione della solitudine che ghiaccia il cuore. La narrazione della Scarparo ci pone dinanzi a un interessante affresco in cui ci sono confini certi tra bene e male, non ci sono spiccati doti tra gli uomini o tra le donne: una sana par conditio. Spesso nei romanzi scritti da donne prevale un maschile debole e un femminile forte, Angela Scarparo ha il coraggio di mostrare un’inettitudine che travalica le differenze di genere. È il grande compito della scrittura: mostrare quel che altrimenti non si vede.
Come se un folletto dispettoso avesse riportato indietro le lancette, Elisa desidera un uomo che si prenda cura di lei sul format di un uomo d’altri tempi. Ma tornare indietro non significa ritrovare quel che abbiamo lasciato, conseguenza logica? Elisa, dal sapore pre-sessantottino non trova attorno a sé uomini disposti a farsi carico dei suoi bisogni. È un dramma sociale, un dramma che oggi investe donne e uomini senza punti di riferimento certi. Un dramma che silenziosamente prende corpo e si veste dei capelli arruffati di Elisa, della sua unghia con lo smalto rovinato, dei suoi vestiti sformati, della sua apatia, delle sue nevrosi.
01/06/2009 - Incroci
Impietosamente, di Antonella Agostino
Con questo suo quarto romanzo, L’arte di comandare gli uomini, Angela Scarparo ci fa entrare nel mondo di Elisa Dentera, intellettuale e inetta, anzi «intellettuala» - tanto per usare un neologismo appositamente coniato dalla scrittrice – incapace di mettere a frutto una laurea in giurisprudenza, di prendere un pennello e dipingere, di fare il palo per un semplice ed organizzatissimo furto. «Io non sono mai stata capace di ribellarmi. Non sono mai stata capace» confessa, non a caso, la donna del libro.
Suscita emozioni contrastanti nelle lettrici e nei lettori questo nuovo personaggio frutto della fantasia della scrittrice e sceneggiatrice brindisina. Impietosamente la Scarparo dapprima ci fa provare pena per questa ragazza, abbandonata dal compagno, rinserrata nelle mura di un abituro a leggere fumetti, «con le mutande bianche che le strizzavano la pancia, seduta su una sedia del soggiorno», circondata dal vuoto; con lei solo un tavolo su cui minuziosamente vengono descritti «un panino smozzicato, una tazza sporca di caffè e un cellulare tutto rovinato». Poi alla compassione subentra la rabbia, la ripulsa.
Elisa è una donna solo apparentemente innamorata, dal momento che il suo cuore batte per amori mai vissuti, per uomini mai incontrati. Elisa sogna, infatti, di passare da letti di piume e lenzuola di seta a letti squallidi «dentro il peggiore motel», come una sorta di viaggiatrice inquieta, dietro le cui sembianze intravediamo quella «altra metà del cielo», che è poi la donna secondo Novalis.
Solo in apparenza propositiva, la protagonista di L’arte di comandare gli uomini si rivela incapace di tradurre in azioni anche i suoi più semplici bisogni. Eppure la Scarparo non ci consegna un personaggio totalmente pessimista. «Elisa inciampando nella scarpe di Ferragamo a cui non era più abituata, se ne andò». Elisa è una donna che sbaglia – vittima di una padre capace soltanto di umiliarla -, dalla personalità nevrotica, angosciosa e angosciante. È una donna che vuole prendere e mai dare, arraffare il più possibile, convinta che il mondo sia un posto orrendo, dove c’è spazio solo per i furbi, per i «dritti». Voleva vivere a Roma, da signora; lo desiderava da quando era piccola, spinta dalla passione per il cinema: «Volevo proprio venire a Roma. È da quando ero piccola che lo desideravo. Sono appassionata di cinema, io. Nella città che vedevo nei film in bianco e nero, volevo vivere. La città che leggevo nei romanzi di Moravia». E nella Capitale sognava di arrivare vestita con un bel tailleur azzurro di Versace, con orecchini d’oro ai lobi delle orecchie, una raffinatissima borsa di Fendi e i tacchi alti di Ferragamo. Qui poi, Elisa è appassita e nel suo lungo colloquio con Angela si mostra imbracata in tute sformate, scarpe dalle zeppe altissime e deformate; scarpe vecchie da cui spuntano le unghie dallo smalto consumato, sbeccato.
L’arte di comandare gli uomini è la storia di una donna, debole, fragile, nevrotica, pronta però a ribellarsi col suo corpo, a partire dal suo intimo per dire «basta», a partire da sé per non adattarsi alle regole, in modo da poter dire ancora una volta: «hai in mente quando ti guardi negli specchi, sai quegli specchi che si specchiano l’uno dentro l’altro? Quando ti guardi senza guardarti negli occhi… quando sei in mezzo alle immagini di te che ti rimandano tanti specchi?».
È tutta qui la disperazione di Elisa. Una disperazione che la fa passare dalla depressione alla esaltazione. Forse solo un uomo, solo un poeta potrebbe consolarla. Forse sì, forse no… No, ormai non basta più.