Vibrazioni interiori, di Maria Clelia Cardona
Compie il suo senso: un titolo quanto mai significativo per un libro che, uscito postumo, conclude un itinerario poetico breve ma di forte intensità. Dell’autrice, Anna Ingrao Boccia, ci parla nell’Introduzione il fratello Pietro Ingrao, ricordandone l’impegno femminista, la partecipazione al “Centro Culturale Virginia Woolf”, ma soprattutto le ragioni umane – in primo luogo lo strazio di una tragica perdita – che hanno acceso in lei quella condizione di dolore vivo e fecondo, nutrito di interrogativi, cui solo la poesia riesce a corrispondere con i movimenti della sua musica. Nel libro quell’antico dolore è ancora avvertibile, ma come un fondo scuro di indicibilità su cui prendono corpo e vita le insorgenze del vivere, i frammenti delle percezioni, dei ricordi, del riflettere, i sommovimenti e le “vibrazioni” interiori talvolta inspiegate, estranee, non riconoscibili. «immensa / nella solitudine dell’intendere / rileva dell’erba il movimento / incontra se stessa / la mente / compie il suo senso»: la raccolta si apre con la nota grave di un riflettere solitario della mente che nell’incontrare se stessa sente compiersi il proprio destino. Un incipit severo («La solitudine la cui peggior paura / è vedere se stessa», scriveva Emily Dickinson) per un libro in cui invece l’autrice rivolge alla propria vita e al mondo che la circonda un’attenzione non arresa, carica di curiosità, amore, richieste.
Nella poesia sono spesso i colori a suggerire il tracciato delle emozioni, e talvolta il timbro dominante dei versi: in questo libro si effonde la gamma dolceamara dei viola – lilla, amaranto, pervinca, indaco, cobalto – animata però da gioiose o fervide accensioni. Colpisce, in una raccolta improntata al tema del compimento e del congedo, la presenza non marginale della gioia, talvolta sapientemente incastrata in associazioni ossimoriche: può essere la «gaiezza delle ombrare» salutata dagli uccelli prima di sera (p. 31), o «l’allegria non incerta / nell’amore dall’amore soccorsa» con cui «la mano bianca di vecchiezza» sfiora le ortensie «bianche diamante» che ornano la brocca. E anche laddove l’autrice immagina di divenire fiume in una sua vita futura, non rinuncia a sentire nella pienezza della sua fusione con la natura le cascatelle che si rincorrono in “letizia” (p. 62). Allora capiamo che in tal modo viene chiamato in causa uno stato interiore di fattivo sommovimento che interloquisce con le ragioni prime della poesia: «la traccia / che avvia la mano alla pagina / è gaudio mai impazienza», leggiamo a p. 23 in un testo che appare in tutto come una dichiarazione di poetica, e che nei versi finali ci dispensa un prezioso insegnamento: «quel dono di grazia stia con l’alito / si confonda con la cosa che chiamiamo vita // la nostra». Il fare poesia, insomma, appare inscindibilmente connesso con il vivere – non esercizio libresco o scappatoia consolatoria, ma inveramento del proprio essere: « “l’essere è più del dire” / eppure quello strano vaneggiare / fa sentire essere nel dire», leggiamo a p. 45.
Spesso i libri di poesia scritti in età avanzata da poeti che hanno alle spalle una lunga produzione ci appaiono di maniera, o di mestiere, e comunque privi dell’inconfondibile freschezza e del fervore di chi ha sentito da poco svegliarsi in sé la creatività poetica: tanto più quindi ci appare prezioso un libro come questo in cui un’autrice approdata alla poesia in età non più giovane scopre con un artefatto stupore nella poesia stessa il modo più autentico per vivere la propria età e il proprio tempo. La natura, guardata in vecchiaia con occhi nuovi, offre allora una vasta gamma di significazioni, diviene spazio simbolico: ed ecco i «gigliati fiori accesi di smalto» che appaiono qua e là fra le zolle dure, i rami nodosi «che sembrano rinnovare forza in se stessi / come capita d’essere da vecchi / pellegrini in ritardo / lungo inospitali contrade di attraversamento» (p. 44). O la bella poesia, quasi un apologo, dedicata a un olmo che vive in una radura fra tanti altri alberi e cerca di spingersi con i rami verso la luce: con il passare degli anni però si riduce il numero dei nidi, gli uccelli cercano alberi più verdi e più invitanti, e anche l’ombra si fa più scarna e appartata. E sulle foglie serrate a difesa si scatena un vento tenace che «portando il male il bene / le indusse a riconoscersi / foglie di olmo in quel punto di radura / ancora lì vivendo / come un albero vive» (p. 38). Avvertiamo che è il vento forte della poesia che provoca nell’autrice un simile riconoscersi, che implica, grazie alla presenza vigile della mente e all’importanza data alla conoscenza, la capacità di scoprire una preziosa ricchezza di esperienze ancora da consumare, senza ignorare le inderogabili leggi del vivere.
Il nesso pensiero-immagine è del tutto evidente in molte simbologie, e talvolta è esplicitato: «i pensieri tacevano e parlavano / nello scorrere abituale / prendevano forme suggerimenti dai paesaggi / sembravano intessuti a spicchi / lilla e amaranto ricordavano ballate musicali» (p. 46). Ci chiediamo allora quale sia in questi versi l’immagine-simbolo che meglio esprime la condizione dell’autrice: forse «il nodoso melograno / distolto dagli antichi giochi» che «tenta di offrire a compenso frutti spaccati / rubino luccicante avaro a dissetare» (p. 47). Perché infatti in questa voce poetica la malinconia trova sempre un suo momento di vibrazione esaltante, di fuga nel colore acceso (o nella ricorrente visione di Gibilterra, limite estremo oltre il quale per gli antichi si apre l’ignoto). Come accade nella lirica forse più desolata della raccolta: «parte del momento quasi arresa / mi consegno / impietrita al suo seggio/ provveda la vita a completare il tratteggio / granuli di mirtillo carminio imprimeranno / il sigillo». Il viola del mirtillo vira al carminio, il rosso si accende qua e là ad evocare il sangue e la festa, nota alta che sigilla le tante antinomie del vivere: fate festa con me / ho molto amato / ho pianto / ero in fiore / il dolore che non posso dire / ha scavato nel petto un buco fondo / nascostamente il sangue allaga il corpo / l’amore / è mio ancora / Poesia mi ha nutrito / la mente mi tiene compagnia (p. 57).