Annarita Miglietta, Così giocavano

01-11-2008

Un mondo divertente senza playstation, di Marina Greco

Come giocavano bambini e adolescenti salentini qualche decennio fa, quando il Nintendo non esisteva, Msn non era il luogo prediletto d’incontro e perfino i mattoncini colorati dovevano ancora vedere la luce nell’ormai “desueto” cantiere Lego? Annarita Miglietta, professore associato di Linguistica italiana alla facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università del Salento, afferra la memoria storica e la consegna al futuro in Così giocavano. Giochi fanciulleschi in Salento e oltre. Nove capitoli su altrettanti giochi strumentali, un primo esperimento di analisi sinergica condotta sui versanti etnografico e linguistico, per fissare e tramandare lingue e culture che, nonostante la storia millenaria, sono ormai scomparse dalle strade e, via via, anche dalle memorie.
Erano la lippa, la trottola, i sassolini o la campana, i loro passatempi; giochi di strada, quando la strada era un laboratorio formativo, una “grande scuola informale”, come la definisce Tullio De Mauro nella prefazione, in cui testare destrezze e affinare attitudini, che educava alla competizione, rispettando le regole. Giochi come “riti di iniziazione e strumenti di socializzazione”, li definisce l’autrice, riemergono dalle indagini linguistiche condotte tra informatori dai 50 ai 65 anni, in 21 centri della penisola salentina, e che nella ricognizione dialettologica della nomenclatura dei giochi, dove possibile, spaziano anche nel resto d’Italia.
Per ogni gioco uno schema ricorrente esamina, di volta in volta, regole e strumenti nel Salento, le varie denominazioni confrontate con quelle presenti nell’Atlante linguistico italiano e nel Vocabolario dei dialetti salentini, evidenziando ciò che è rimasto e ciò che si è perduto, con ipotesi sulla vitalità del termine e le variazioni, per poi affacciarsi nelle regioni vicine e risalire pia piano lo Stivale; in appendice, infine, si riportano alcune testimonianze in trascrizione normalizzata. Così giocavano non pretende d’essere uno studio esaustivo né un tuffo malinconico nella fanciullezza dei più, è piuttosto un bel saggio, corredato da carte geolinguistiche e raffigurazioni, un primo, importante quanto necessario, approccio al settore che traccia un complesso quadro sociolinguistico. Ecco dunque la lippa, nata addirittura nell’antico Egitto e giocata con “mazza e pizzarieddhu”; la trottola, nota anche nell’antica Grecia e celebre in tutto il mondo; i sassolini, i magnifici cinque “tuddhi”, con diverse varianti e fasi di gioco accessibili solo per destrezza e abilità di mani. E poi gli aliossi (ossicini a sei facce), gioco attuabile anche con gli astragali, antichi antenati dei dadi; la rumorosa raganella, detta “trozzula” o “trenula”, divertimento per i piccini, ma anche solenne richiamo alle messe del venerdì santo o dono alla fidanzata in occasione dei “panieri”. Play-station alla mano e cartoni giapponesi, i bambini del terzo millennio si chiederanno come giocavano i loro nonni, prima che la tecnologia e le regole che il mercato impone alla società rendessero l’infanzia un periodo di “incosciente” solitudine, individualismo e omologazione?