Antonietta Langiu, Lettera alla madre

13-03-2006

Romanzo e biografia: Antonietta Langiu racconta sua madre, di Giovanni Mameli


In un recente convegno internazionale svoltosi a Cagliari, sulla figura e le opere di Salvatore Satta, l’antropologo Pietro Clemente ha esaminato un filone di libri particolari. Ossia quelle opere nelle quali si traccia un percorso di vita abbastanza lungo, quando arriva per l’autore il momento dei bilanci.
Sono una via di mezzo tra i romanzi e le biografie; e i destinatari privilegiati sono i propri parenti, in particolare i figli e i nipoti. Ma poi succede che i lettori, dopo la pubblicazione del libro, crescono in una misura molto maggiore.
Nello scrivere Lettera alla madre, Antonietta Langiu ha inteso raccontare la vita della persona che più le è stata vicina. In realtà parla molto anche di se stessa, in un arco cronologico compreso tra gli anni della seconda guerra mondiale e i giorni nostri. Ma chi è l’autrice di questo denso libro di ricordi? Nata a Berchidda, Antonietta Langiu ha studiato a Sassari, poi si à laureata in Sociologia a Urbino. Attualmente vive nelle Marche e fa parte del Consiglio Direttivo del Centro Studi Joyce Lossu. Prima di questo libro ha pubblicato un volume di racconti e un romanzo (che sta per essere riproposto, in sardo-berchiddese, dalla Casa Editrice Edes).
Lettera alla madre si può leggere con diverse chiavi. La più stimolante potrebbe essere quella del romanzo-documento. All’autrice interessa poco la ricerca letteraria fine a se stessa: mira a una raffigurazione diretta della realtà. Ma il libro è anche un’indagine sottile sulla storia e la psicologia della madre della scrittrice. Una donna forte, lineare e coraggiosa alle prese con vicende dure (la guerra, i difficili anni Quaranta e Cinquanta, la scomparsa del marito). In questo contesto familiare con momenti di inquietudine e serenità, in un piccolo centro della Sardegna, cresce una ragazza dotata di una grande sensibilità. Non le sfugge nulla, nel mondo circostante e all’interno di un carattere come il suo pieno di slanci e paure.
Tra le pagine più interessanti del libro ci sono quelle ambientate a Sassari nel periodo degli studi alle superiori.
Sono gli anni dell’invasione dell’Ungheria da parte delle truppe sovietiche e nelle scuole cittadine l’evento ha una grande ripercussione. Gli studenti che scioperano vengono presi a manganellate dalla polizia. Disertare le lezioni, sia pure per solidarietà, con gli ungheresi, in quegli anni era una grave colpa.
Che la vita sia fatta di luci e ombre, di misteriosi percorsi che sfuggono alla razionalità, è il senso delle molte vicende raccontate in questo libro. Anche le scelte di fondo a volte sono casuali (“Qualche volta penso al giorno del mio matrimonio con tenerezza, forse perché è stato un giorno orribile, eppure non ero infelice, almeno fino a quel mattino”).
Che la casualità non sia tale, ma rientri in un canovaccio scritto da altri, è la tesi finale del libro. In questa lettera-confessione alla madre dell’autrice si fa il punto anche tra due generazioni.