Michel Tournier è un autore francese ben noto in Italia. A molti lettori di casa nostra sono familiari romanzi come Il re degli ontani, Venerdì o il limbo del Pacifico e altre opere come il suo Diario aperto. A questa fortuna editoriale, tuttavia, non è corrisposta finora un’altrettanto fitta fortuna critica da parte della filologia contemporanea italiana: pochissimi i saggi a lui dedicati; talora meri paragrafi all’interno di opere generali, se non addirittura brevi menzioni. Ed è un vero peccato.
Il doveroso atto di riparazione nei confronti di questo narratore difficile e problematico è compiuto da Antonio De Donno di Maglie – città presso il cui liceo Capace ricopre la cattedra di lingua e letteratura francese – che con il suo recentissimo Michel Tournier. La scrittura e il suo doppio ci regala quello che probabilmente può considerarsi il primo importante scavo analitico tributatogli dalla critica cisalpina.
Beninteso, De Donno non scrive una monografia consacrata all’intera produzione di Tournier, ma concentra il fuoco ermeneutico su tre fra i suoi romanzi (Les météores, Venrdedi e Le roi del aulnes) scritti tra la fine degli anni ’60 e la metà dei ’70. Questa scelta, pur non esaurendo il discorso circa le ossessioni tourneriane, sembra convincentemente emblematica, fra tante altre, almeno della più vistosa fra le tematiche dello scrittore d’oltralpe risultante dal fascio di tre linee convergenti: la gemellarità e le sue implicazioni inquietanti, la sessualità vissuta come esperienza speculare, la «reductio ad unum» del nesso bene/male.
Se si considera che l’aspetto più provocatorio di ciò sta nell’operazione della riscrittura (si veda la rimodulazione del mito di Robinson Crusoe) o, nel Re degli ontani, la visione del totalitarismo nazista tanto lancinante quanto il lucido delirio di Céline si comprenderà come Tournier abbia compiuto in letteratura la stessa rivoluzione di Derrida in filosofia, ossia un drastico decostruzionismo ove le discontinuità comportamentali, le inconciliabilità concettuali, i vuoti opzionali, le lesioni etiche e la fragilità delle strutture mentali presunte solide, rivelano l’esistenza di una dualità opposito-complementare nell’essere umano irriducibile al classico schema psicoanalitico e forse riconducibile solo a una personalissima antropologia iconoclastica.
Leggendo il saggio di De Donno, si viene presi da un dubbio latentemente distruttivo, ma fondamentalmente benefico, al pari dell’ontologia heideggeriana: le vicende dei gemelli in Le meteore, la contraddizione civile-selvaggio in Venerdì e l’aporia bene/male del meta-nietzschiano Re degli ontani costituiscono un sistema complesso di alterità. In maniera non dissimile dal «doppio» di Antonin Artaud – che aveva preconizzato il divorzio tra le parole e le cose successivamente sancito da Michel Foucault – Tournier fa della ri-scrittura una autentica pratica d’inversione e di reversibilità del doppio mirante a decifrare la complessità e, sovente la confusione del mondo reale.
Di qui il titolo di questo bel saggio che finalmente spoglia gli orchi, i gemelli e gli androgini di Tournier del loro travestimento fantastico per consegnarli nudi e autentici alla realtà umana.