Antonio Debenedetti, Un piccolo grande Novecento

05-11-2005

La coperta corta di Penna, di Paolo Mauri


Antonio Debenedetti ha una lunga memoria del mondo letterario: come figlio di Giacomo s'era trovato nella condizione privilegiata di conoscere da subito poeti e scrittori. Saba era ospite della famiglia a Roma, Caproni gli faceva ripetizioni private una volta che rimase a casa per una malattia. Adesso quei ricordi li ha messi in carta, complice Paolo Di Paolo che lo intervista, per l'editore Manni e ne è uscito un libro che si attraversa con piacere e malinconia: Un piccolo grande Novecento. La malinconia è dovuta al fato che moltissimi non ci sono più: un libro di fantasmi, dunque, immortalati magari in un gesto o per meglio dire in un fotogramma. Antonio ama molto il cinema e ha una memoria cinematografica: ecco Moravia incontrato per strada che lo chiama e lo invita a cena quasi gridando: pago io! C'è molta nostalgia di Moravia nel libro: della sua intelligenza e della sua generosità: non si negava mai al telefono.
E poi c'era la povertà del dopoguerra, mescolata alla felicità della Liberazione. Caproni e Bigiaretti, che erano molto amici, inzuppavano i loro maritozzi in un unico bicchiere di latte. Poverissimo era Sandro Penna. Debenedetti racconta che una sera Gabriele Baldini lo voleva portare da Penna, che abitava in una stanza disordinatissima e piena zeppa di quadri. Quando suonarono Penna protestò di non poterli ricevere: avrebbero visto che il poeta era talmente povero da non avere una coperta grande abbastanza per arrivargli ai piedi. Al contrario di quanto accade nell'Isola dei Famosi i letterati si fanno dispetti non nominandosi. Caproni se la prese con Contini e ma anche con Giacomo Debenedetti rei di non averlo citato. E anche i successi altrui spesso vanno di traverso. A meno di non fare come Ungaretti: quando Montale fu nominato senatore si difese così: "Montale senatore, Ungaretti fa l'amore". Morì in casa di un'amica, forse nel suo letto.