Profumo di Bloomsbury nella Roma della dolce vita, di Mirella Serri
Era il settembre del 1990 e a Roma, all’angolo tra il corso d’Italia e la via Po, Federico Fellini scese dal taxi e salutò il compagno di viaggio con la promessa di rivedersi di lì a qualche giorno. Ma erano promesse da marinaio, quelle del geniale regista. Lo scrittore Antonio Debenedetti, l’amico con cui l’imprevedibile uomo di spettacolo era solito intrattenersi a seconda dei suoi estri e dei suoi umori, ben conosceva le stravaganze di Fellini: «Appuntamenti telefonici stabiliti con precisione e poi mancati, imprevisti dell’ultimo momento, persino conversazioni iniziate e subito interrotte». Così Debenedetti rievoca uno degli ultimi incontri con il regista nel libro-intervista Un piccolo grande Novecento. Conversazione con Paolo Di Paolo. Il narratore torinese in questo suggestivo dialogo, in cui non manca uno sguardo ironico e divertito, ripercorre quella che definisce l’età dei padri o dei grandi maestri. È un fervido dopoguerra ricco di personalità, di talenti, di dibattiti e di opere, la cui continuità, secondo lo scrittore, si interrompe all’incirca verso gli Anni Novanta del secolo passato con la scomparsa di due punti di riferimento artistico, Fellini e Alberto Moravia.
Roma in questo racconto è il vero epicentro della storia, il luogo in cui convergono pittori, scrittori, artisti. Debenedetti, pur essendo nato nel capoluogo piemontese, approdò nella capitale quando era molto piccolo. Il padre, Giacomo, manteneva un fortissimo legame con la sua religione, l’ebraismo, ma i suoi figli, Antonio ed Elisa, vennero invece educati al cattolicesimo materno. Ancora adolescente, Antonio, che nel romanzo Giacomino ha disegnato un suggestivo ritratto del padre –grande «critico-scrittore della nostra letteratura» secondo la bella definizione di Gianfranco Contini–, cominciò a incontrare e ad intrattenersi con i maggiori intellettuali del suo tempo. I primi approcci con Moravia, amico di famiglia, sono sconfortanti. Il sedicenne Debenedetti indossa per l’occasione il suo miglior completo, un gessato grigio a righine bianche. L’autore de Gli Indifferenti, osservandolo, commenta con il suo spirito caustico: «Gli italiani hanno il vizio di vestirsi sempre come dei gangster». Con Moravia poi si stabilirà un lungo e intenso rapporto di solidarietà e di amicizia simile a quello con Umberto Saba, che visse un periodo con Debenedetti ospite nella casa paterna.
Non sono scene di ordinaria follia ma di vita bohémienne degli Anni Cinquanta, quelle rievocate da Debenedetti: ecco, per esempio, due tra i più noti scrittori dell’epoca, Giorgio Caproni e Libero Bigiaretti, seduti allo stesso tavolino in un bar latteria a viale delle Milizie. Stretti intorno ad un’unica tazza, vi inzuppano a turno il proprio maritozzo. Tra bizzarrie e originalità da artisti spesso però affiora anche contemporaneamente l’insegnamento offerto da poeti, romanzieri e artisti: «Caproni mi ha insegnato, per esempio, la dissacrazione, la libertà di ribellarsi senza ferire nessuno, nemmeno se stessi». Estremamente vivo e brillante è il salotto Bellonci. Nelle riunioni preliminari in cui si discute su chi sarà lo scrittore dell’anno incoronato dallo Strega ci sono Goffredo Parise, la pittrice Giosetta Fioroni e Giorgio Bassani, circondato da una schiera di devoti neo scrittori a cui impartisce nozioni elementari di stile letterario e discetta sulla posizione delle virgole. C’è Arbasino, giovanissimo e «leggero come una libellula» che, con elegante fair play, volteggia da un gruppo all’altro. È un magistrale narratore che riesce a trasmettere con i suoi scritti, la sua «cultura passata al filtro di una creatività non spaventata dai dogmi accademici». A volte si aggiungono Pasolini, Pietro Citati, Enzo Siciliano. Quest’ultimo, aggredito verbalmente al ristorante da un focoso Stefano D’Arrigo cade dalla sedia, tramortito dalla imbarazzante situazione.
Nei ricordi di Debenedetti la Roma degli artisti degli Anni Cinquanta-Sessanta acquista il profumo di una stravagante Bloomsbury. Ma l’età del dandismo si esaurisce negli Anni Settanta. Nella libreria Feltrinelli, che accoglie gli esponenti del Gruppo ’63, Pedullà, Giuliani, Guglielmi, Balestrini, Arbasino e altri si riuniscono come in una consorteria segreta. In molti casi se non parlano di letteratura o di rivoluzione, giocano a flipper, scrittori contro impiegati. Di fronte al punto vendita dell’editore Giangiacomo morto sotto un traliccio a Segrate, passeggiano poliziotti in abiti borghesi che sospettano scrittori e critici di attività sovversive. L’epoca dei maestri volge verso il suo esaurimento. Con la novecentesca fin de siècle inizia l’era delle memorie che, a volte, come queste di Debenedetti, possono mutare in opere letterarie.