Il fattore umano dei nostri letterati, di Antonio Spadaro
Sui grandi autori del Novecento non si finirà mai di scrivere. Ed è bene che sia così. Ma i grandi autori non sono icone immobili o scatti fotografici. Sono persone che hanno costruito i loro itinerari all’interno di esistenze complesse, fitti intrecci di relazioni: solo chi vi è stato all’interno può raccontarle in maniera familiare, senza il filtro necessario dei biografi, ma con la passione e l’intelligenza unica del rapporto personale.
In Un piccolo grande Novecento Antonio Debenedetti, robusto narratore e penetrante occhio critico del panorama letterario italiano, tesse i fili dei suoi ricordi in una conversazione che offre spazio adeguato per “raccontare” Moravia, Caproni, Ungaretti, Pasolini, Bassani e molti altri artisti, il cui numero ha reso necessario un esteso indice dei nomi. Questo è il pregio fondamentale del volume: ci racconta la letteratura come una cosa familiare, ci rende gli autori vicini, ci fa entrare nelle pieghe dell’ispirazione e delle motivazioni, oltre che in quelle della vita ordinaria e dei sentimenti profondi.
Ovviamente a raccontare è una persona viva, col suo sguardo particolare, che però si è formato nella frequentazione personale, prima ancora che nella lettura; comunque non semplicemente nelle carte. A volte, questo occhio è testimone dell’esperienza che alcuni scrittori hanno avuto di altri scrittori, e così ci consegna un giudizio intriso di rapporti complessi, di letture intrecciate e di amicizie umane oltre che letterarie.
«Vita e letteratura», verrebbe da commentare citando Bo: «Credo anch’io, come Carlo Bo, che il problema centrale sia semmai il fattore umano», scrive Debenedetti. Dunque Un piccolo grande Novecento è un saggio critico in forma di diario e di racconto, una testimonianza vivacissima da non perdere. Il lettore, se già non ne è convinto, comprenderà come la letteratura sia non una idea, ma una vera e coinvolgente esperienza.