La Puglia che scrive
Il Salento. O la Terra d’Otranto. O… Finibusterrae. Riprendendo la definizione dal titolo di una lirica di Vittorio Bodini, Antonio Errico scende nelle viscere del profondo Salento in un testo che si è rivelato tra quelli di maggiore successo degli ultimi anni in Puglia: Viaggio a Finibusterrae. Il Salento tra passioni e confini è stato infatti edito per la prima volta da Manni Editori già nel 2007 (ne avevamo dato notizia qui) ed è stato ripubblicato quest’anno in una versione ampliata (pp. 120, euro 12). Questa nuova edizione, come indicato sulla fascetta promozionale, si prefiggeva l’obiettivo, tra gli altri, di fornire una guida letteraria al territorio interessato dalla candidatura di Lecce a capitale europea della cultura nel 2019. Terminata senza successo la competizione, tuttavia, il libro di Errico non perde affatto di interesse: le descrizioni dei luoghi, le evocazioni poetiche, le citazioni colte rappresentano, nel loro complesso, una delle più interessanti testimonianze del fascino letterario che il Salento non ha mai smesso di trasmettere.
Gli spunti offerti dalla prosa poetica di Errico, che nel Salento leccese vive e lavora come dirigente scolastico oltre a scrivere romanzi e saggi e a collaborare con quotidiani e riviste, sono numerosissimi eppure unici, proprio come gli scorci artistici e paesaggistici del territorio che descrive. È così fin dalle prime pagine, laddove si mostra il saldo connubio tra il Salento e l’Oriente – non a caso, il percorso parte da Otranto, la cui storia è segnata a fondo dalla battaglia dell’agosto 1480 -: un legame talmente profondo da non potersi comprendere l’estremo lembo di Puglia diversamente: «Bisogna essere passante forestiero per capire questi luoghi, per riuscire a riconoscere la mistura di falso e di vero, a discernere la realtà dall’invenzione [...] Forse solo chi viene da lontano può capire. Chi viene da lontano non ha certo la storia dei turchi dentro la sua vita». Insieme a Otranto, ecco Castro e Santa Cesarea, dove bene è impressa l’immagine del mare come confine: la prima è «costruita in modo che si possa aspettare: che tornino le barche quando ingrossa l’onda»; la seconda è «un lungo balcone sul mare» dove «un tempo c’era Shahrazad che raccontava. Filava la conocchia e raccontava: di una vela che sembrava dover approdare e non approdava mai; di qualcuno che doveva tornare e non ritornò più».
Il viaggio poetico di Errico è intessuto di riferimenti alle più grandi personalità letterarie che il Salento ha accolto o alle quali ha dato i natali: oltre al già ricordato Bodini, anche Luigi Corvaglia, Antonio Verri, Vittorio Pagano, Girolamo Comi, Vittore Fiore, Maria Corti, Ernesto De Martino, Salvatore Toma e altri ancora. Le loro parole sono i nodi di una rete che le evocazioni dell’autore finiscono per comporre, soffermandosi in particolar modo su Lecce (la cui «immagine più autentica» è forse «nella fantasia che se ne può avere»), ma anche sulle chiese di Gallipoli (e su quelle di centri minori, come Galatone, la cui storia affonda le mani nelle macerie di una leggenda) e su Santa Maria di Leuca. E poi sui fari della costa, sulle pietre del Barocco, sulle piazze dei paesi «più a sud del sud». Tutto questo è la Finibusterrae di Errico. Ma è soprattutto, come si diceva, evocazione, sogno, poesia. E allora, «forse, Finibusterrae non esiste. È un luogo del pensiero. [...] non è altro che letteratura».