Antonio Errico, Viaggio a Finibusterrae

16-12-2007

Salento, la voce di una terra, di Sergio D'Amaro

Antonio Errico ha ascoltato la voce della sua terra, che non è una terra qualsiasi. È il Salento, il Salento leccese, cuspide pugliese proiettata tra due mari. Terra ai confini della terra, aperta a tutte le acque. Un destino, una rivelazione, un lungo viaggio negli anni, ed ecco sgorgare la materia densa di un paese d’anima.
Questo Viaggio a Finibusterrae è davvero una descrizione dei luoghi meravigliosi della mente, riflessi nelle forme reali di paesaggi al limite del mito e del sogno. La terra di Bodini, si ricordi: il barocco dei palazzi e delle chiese di Gallipoli, i fari di Otranto e di Leuca, le piazze formicolanti di vita veloce o assorte nella loro solitudine inquietante.
Errico ne è sedotto e, seguendo l’estro del narratore e la ruscellante vena della penna liricamente e filosoficamente tornita, approda ai porti salutari dell’immaginazione. Il dialogo più intenso è quello tra mare, cielo e terra, ed è lì che il nostro autore vede stagliarsi l’immagine più propria dell’essere umano: i confini delle terre e l’azzardo del mare plasmano l’intera metafora della vita umana e ne marcano il sentimento prevalente, la nostalgia, e l’attività più nobile, la poesia. Errico si è scelto per il suo viaggio compagni di squisito sentire lirico: oltre a Bodini, ci sono Vittorio Pagano, Girolamo Comi, Vittore Fiore, Nicola G. De Donno, Giovanni Bernardini, Ercole Ugo D’Andrea, Bruno Epifani, Claudia Ruggeri, e i più giovani e più sfortunati Salvatore Toma e Antonio Verri.
Nella loro voce riconosce il richiamo più forte, la convalidazione di una civiltà, il ritorno incessante alla narrazione di sé e degli altri. Ma ci sono anche gli echi più lontani, gli esempi più celebri (Mann, Kafka, Joyce, Proust) di un ritorno tutto soggettivo alla geografia della propria terra, o ad una tipologia dell’anima: come se la vita fosse davvero ormai parte di quel cielo, di quel bosco, di quell’inarcatura di montagna e nessun viaggio potesse davvero aggiungersi alle prime percezioni del mondo.
Il libro di Errico ci lascia con un’ultima idea: che il confine è un dialogo, e che la lingua ne è la coscienza, ma anche la nave più pronta a nuove partenze.