Antonio Perrone, Vista d’interni

22-09-2003
È difficile sognare in carcere senza epica e senza eroi, di Paolo Mauri

C’è scritto in quarta di copertina: Antonio Perrone è detenuto sottoposto a regime speciale per associazione mafiosa. Fine pena: mai. Il libro, che è poi un diario dal carcere, si intitola Vista d’interni e lo ha pubblicato l’editore Manni di Lecce. Racconta storie di soggiorni in molte carceri, incontri e scontri con detenuti di ogni tipo e, naturalmente storie di reati, spaccio di droga, rapine, estorsioni e di conseguenti processi e condanne. Non c’è nessuno spiraglio. Perrone si aggrappa qualche volta agli affetti che ha lasciato fuori, ma anche sua moglie Lela, conosciuta liceale di buona famiglia e presto scivolata sulla via della droga, finirà in carcere, sia pure per poco per una storia di marjuana. Suo figlio Alessio stenta a trovar lavoro: un padre in galera non è un buon viatico. L’altro figlio, Ruben, cresce vedendolo solo ai colloqui, pochi minuti ogni tanto.

Resta tra le vie di fuga temporanee, un disperato onanismo, la lettura e la scrittura. Ma anche leggere, in prigione, non è sempre facile. Trasferito nel carcere di Secondigliano (Napoli) gli dicono che non può chiedere più di un libro ogni due settimane. A Pianosa, gli raccontano, svegliavano il detenuto di notte gridandogli: «Il libro che lei ha chiesto non c’è, faccia un’altra domandina».
Poi c’è la televisione e soprattutto la fantasia. Dice Perrone che in gergo carcerario l’evasione mentale si chiama «castellare». Il libro si chiude così: «Castellare… non ce la faccio più a castellare. Ora anche nei sogni non riesco ad andare oltre: mi fermo sempre al di qua del muro».
Vista d’interni è un documento e non un libro di letteratura. I molti romanzi che hanno per sfondo il carcere (e perfino i moltissimi film) costruiscono in qualche modo un mondo, creano un’epica del negativo, quando non giocano sul rocambolesco, sul delinquente simpatico costruendo un legame tra detenuto e spettatore. Qui invece non c’è niente. Nessuna trama epica, nessun eroe. Solo la banalità del male e le sue orribili conseguenze.