Riso e pianto, occhi del sentimento, di Ignazio Minerva
Nella notte di Soyumba non tutte le vacche sono nere. Ogni essere vivente è diverso dagli altri, persino da se stesso. Che è Henry di giorno, al tramonto acquista un’altra denominazione e diventa, per esempio, Edward, tanto per ricordare la teoria del “doppio” di Stevenson. Non solo più nomi si hanno e più possibilità ci sono di avvicinarsi all’essenza della cosa nominata, ma si deve notare che la differenza tra luce e tenebre influisce sui modi di pensare e sentire: in fondo, ciascuno di noi muta con il trascorrere delle ore.
La magia dell’isola di Koryambi, a nord del Tropico del Capricorno, è riassunta in un delizioso libretto tra poesia e antropologia scritto da Antonio Prete, Un anno a Soyumba. Oltre a essere ghiotte di pesce, le popolazioni sono avide dei racconti del passato: tra le isole dell’arcipelago erano frequenti le incursioni per rapire gli anziani e apprendere dalla loro voce storie sconosciute e avvincenti.
Nessuno da quelle parti si preoccupa di trattenere le emozioni: del resto, l’immane sforzo di una formica può portare un movimento del cuore. Per i Soyumba il riso e il pianto sono gli occhi del sentimento, ma sono le lacrime che non si vedono le più amare.