L'affabulazione e la memoria, di Raffaele Piazza
Antonio Spagnuolo è nato nel 1931 a Napoli dove vive. Ha pubblicato libri di poesia che hanno avuto significativi riconoscimenti e ha scritto anche per il teatro. E’ direttore, insieme ad Emilio Piccolo, di Poetry Wave – Vico Acitillo 124, rivista di poesia on-line, che è una realtà ormai consolidata nel panorama della letteratura italiana dei nostri giorni. Il romanzo breve di Spagnuolo, di cui ci occupiamo in questa sede, è il suo quarto libro di narrativa.
In questo testo, l’incredulità, il pudore, la dolcezza, un amore mai corrisposto, nell’arco di un ultimo Novecento imprecisato ma riconoscibile, si avvicendano nella vita di un uomo semplice che non si arrende alle sconfitte quotidiane. L’evasione nel sogno genera una originalità del discorso che è meditativo e narrativo, visionario e puntualmente descrittivo. Si ha la sensazione, leggendo Un sogno nel bagaglio, di entrare in un’atmosfera di confine tra sogno e veglia. Il lettore si trova immerso in un mondo onirico e reale nello stesso tempo, e il senso del testo lo si ritrova proprio attraverso la linea affascinante che lega i due livelli. Pare di affondare nelle pagine di questo libro, nella sua complessa trama e orchestrazione, mentre lo si legge e, dato saliente, cifra del romanzo, è proprio quello di essere un’opera di narrativa: nonostante, quindi, il senso di sospensione e visionarietà, l’autore, e questo è un dato notevole, di conseguenza, ha una forte coscienza letteraria di ciò che scrive, perché, alla fine prevalgono i fatti, gli eventi narrativi e non si slitta nella prosa poetica, o in qualcosa di vago. L’originalità di Un sogno nel bagaglio, che ne fa un unicum nel campo della narrativa contemporanea, sta proprio nel fatto che Spagnuolo elabora in modo controllatissimo e calibrato, una materia composita onirica e visionaria, col giusto equilibrio, senza sbavature, e riesce a rimanere nel campo della narrativa, proprio perché, tutte le qualità suddette, sono dominate con leggerezza e la trama, l’io narrante e i vari personaggi che si avvicendano nella narrazione, le loro azioni e la loro vita interiore, riescono ad essere l’etimo fondante del libro, libro il cui vero protagonista, ripreso, filmato, dal punto di vista dell’io narrante, è un anziano professore, uomo molto ricco, sposato, con un figlio, che ricorda una vita di cui nell’attualità ha perso le coordinate di una possibile felicità, un uomo sensibile, che ha un rapporto senza dialogo con il figlio, al quale non interessa sapere le storie, come quella del nazismo, quelle di un uomo che, contrariamente al figlio stesso, ha attraversato il secolo breve e non riesce a far capire quello che ha provato sulla sua pelle, cosa che potrebbe generare un dialogo generazionale, sul senso della vita e del destino. L’io narrante cerca di penetrare nel professore, non solo facendosi osservatore del suo quotidiano, le soste due volte alla settimana al bar ad incontrare i suoi ex alunni (quale fosse la sua materia d’insegnamento non viene specificato), o i suoi dialoghi con il giovane sacerdote Don Franco, ma anche attraverso la grandissima cura con la quale descrive il professore, dal punto di vista corporeo: gli occhi, i capelli, la fronte, il viso, con un rigore per il dettaglio, che non è privo della presenza della fisiognomica o dell’approccio empatico: sarà felice? È matto?, queste sono le domande spontanee che l’io narrante, forse anche lui giovane allievo del professore, si pone. C’è il tema centrale della memoria e di un amore non ricambiato, o finito male, che ancora serpeggia nel cuore e nella mente del vecchio, che si pone anche i quesiti sull’esistenza del bene e del male, sull’esistenza e l’essenza di Dio, entrambi sottesi ad un’incombente pensiero della morte. Un senso di angoscia pervade questa figura di docente anziano che, anche dai colloqui con Don Franco, esce sconfitto, turbato e privo di gioia. Un nichilismo si è impadronito di questa persona che, tuttavia, affronta le difficoltà esistenziali, senza mai smettere di essere se stesso e accettando le sconfitte, continuando caparbiamente, anche nel dolore, a cercare dei varchi salvifici: il primo, innanzitutto, quella di cercare di stare bene con se stesso e quello di sapere stare bene con gli altri, o, per azzerare il problema, quello di saper comunicare con le parole e di non sentirsi solo anche quando è in compagnia: un’afasia dunque e un’angoscia lo dominano, ma lui continua inesorabilmente a vivere.
Lo stile della scrittura di Spagnuolo è icastico, sinuoso e pregnante, e leggero, nello stesso tempo; c’è anche un fattore di mistero, perché, nel corso della narrazione, l’io narrante non rivela mai chi sia, cosa faccia nella vita: e se ci sia un rapporto tra se stesso e il professore: molto notevole l’inserimento di questo io narrante perché si può credere che lo stesso Un sogno nel bagaglio non sarebbe così compiuto e luminoso, se fosse stato scritto semplicemente in terza persona. L’affabulazione s’intensifica proprio grazie a questo felice gioco, che rende il romanzo breve o racconto lungo che sia, molto affascinante: potremmo identificare un primo livello nella descrizione del professore, un secondo livello nell’io narrante che lo spia e un terzo livello nel lettore e nel critico che osservano sia il professore che l’io narrante in un gioco caleidoscopico veramente efficace. Tra i tanti misteri anche l’ambientazione della vicenda resta vaga, anche se si potrebbe ipotizzare che il luogo dove avvengono i fatti sia Napoli, da qualche piccolo dettaglio, come il nome di una strada o della presenza di una chiesa dedicata a San Gennaro.