Spagnuolo torna alla narrativa e gioca con la poesia, di Felice Piemontese
Noto soprattutto come poeta (e per iniziative come il sito web «Poetry wave»), il medico napoletano Antonio Spagnuolo torna all’antico amore per la narrativa (un suo testo ebbe, tanti anni fa, se non ricordo male, l’avallo di Giovanni Raboni) pubblicando, da Manni editore, un breve romanzo intitolato Un sogno nel bagaglio.
Curiosissimo testo, in verità, ricco di suggestioni iper-letterarie e di rimandi alla psicoanalisi, nel quale, attraverso squarci narrativi improvvisi e continui cambiamenti di prospettiva, si ricostruisce una relazione amorosa lontana nel tempo, che ebbe come protagonisti un professore, oggi anziano, e una donna di molti anni più giovane di lui.
È abbastanza evidente, per chi legge, che a Spagnuolo non interessa molto costruire una trama vera e propria e personaggi di una certa consistenza, bensì dare forma narrativa agli interrogativi e ai dubbi che da sempre sostanziano la propria ricerca, e che troviamo esplicitati a un certo punto del romanzo: «Quanti oggi conducono per davvero la vita che avrebbero voluto vivere? E come ha potuto la realtà divenire più di qualsiasi altra cosa malinconica combinazione di compromessi, ansia, disinteresse, fatalismo?». E dunque, in una siffatta situazione, ecco che «la poesia è propriamente un’alternativa alla cosiddetta realtà. È un grande no lanciato contro l’esistente, ed aspira possibilmente all’eternità…».
Di qui il carattere fluido e magmatico della narrazione, i frequenti riferimenti al sogno e alle sue possibili interpretazioni, la programmatica sfocatura di personaggi che compaiono per un attimo per subito comparire, fragili ed enigmatici come in un film di Lynch o in certo teatro di Pirandello.