Antonio Spagnuolo, Un sogno nel bagaglio

10-02-2007

Tra forza affabulatoria e dimensione del sogno, di Ivano Mugnaini

Nel romanzo Un sogno nel bagaglio Antonio Spagnuolo intreccia i nodi di una vicenda facendone aderire con abilità i toni, gli slanci e i rallentamenti al passo e alla cadenza della scrittura, al calore e al sapore del materiale linguistico da cui la storia narrata trae sostanza e a cui a sua volta conferisce corpo e misura. Una forma ottimamente calibrata di mimesi. In fondo è ciò che la scrittura, come la musica, come la pittura, avrebbe detto Orazio, dovrebbe fare sempre: farsi specchio di ciò che narra. Anche se, nel caso specifico, l’immagine più sostanziosa, quella che conta è quella apparentemente fittizia. I contorni riflessi su un vetro tirato a lucido.
Ha descritto i passi, reali e immaginari, di un antieroe, Spagnuolo. Antieroe, e quindi, nel contesto attuale, nei confini dei mondi possibili e utopici attualmente percorribili, eroe tout court. Eroe e basta, in virtù dell’arte della sopravvivenza. Soprattutto di quella sfera, ancora una volta impalpabile, ma imprescindibile, del sogno. La dimensione onirica, appunto, evocata nel titolo del libro come qualcosa di effimero e tuttavia decisivo, fondamentale. Quel quid di tenacia e di illusione da portare con sé, nonostante il suo peso tutt’altro che etereo, nel cammino della vita.
Lo Spagnuolo poeta ha lasciato campo, come è giusto che sia, allo Spagnuolo narratore, in questa occasione. Ma non si è eclissato del tutto. Né, d’altronde, avrebbe potuto farlo, anche volendo. Dello Spagnuolo autore di versi questo romanzo conserva, come un’eco costante, il senso di una malinconia agra ma mai sterilmente vana o compiaciuta. C’è il guizzo, il lampo di un’ironia che, a tratti, seppure in sordina, riappare, riemerge. Della poesia questo libro ha la capacità di far risaltare, non di rado con un solo termine apparentemente fuori schema, una nuance sottile e in apparenza minima, un intero mondo, un cammino, un destino. È presente invece in misura molto minore, qui, la sensualità accesa di molte liriche dell’autore. La carne, quasi divorata in molte poesie di Spagnuolo con morsi di passione violenta, tenera, disperata, in questo libro si è tramutata in pensiero, fantasma diafano di ricordi e aspirazioni destinate a rimanere tali. Anche in questo l’orchestrazione dello spartito con il tema prescelto risulta congrua, coerente. Il sogno, spesso amaro, contrastato, ma mai lasciato andare verso la deriva dell’oblio, è, in questo romanzo, il vero protagonista, la figura cardine.
Le cose, e le persone, emergono nel dipanarsi delle pagine dai veli ricamati di descrizioni dettagliate. Mai meramente “paesaggistiche”, comunque. A meno di non voler fare riferimento ai paesaggi interiori, dell’animo, della psiche. La lentezza di certi incipit, gli esordi cadenzati su mosse prolungate e subitanei arresti, è funzionale all’evocazione di uno stato d’animo. Crepuscolare, si potrebbe dire, anche e soprattutto nel senso pittorico, coloristico, del termine. Il tempo, quello della Storia con la S maiuscola, tanto diluito e apparentemente vago, eppure tagliente, angoloso fardello, è un altro dei motivi dominanti. Viene in mente Kafka, ma anche Joyce, e in parte anche Pirandello: tutti gli autori che hanno fatto risaltare, tra ansia e ironia, le sbarre incrociate della gabbia cronologica al cui interno ci dibattiamo da sempre. Si affianca e si sovrappone al tempo storico quello umano, fragile, onnipotente, di sicuro onnipresente. La vicenda di una persona, le sconfitte, le cadute, il coraggio di guardarsi indietro per immaginare una meta, per dare vita alla vita. Nonostante tutto.
E in mezzo al succedersi dei giorni, agli eventi minimi ed epocali, si colloca il nocciolo duro del libro: una storia d’amore. Descritta senza sdolcinature e senza facili ed accattivanti trucchi. Una storia verosimile, convincente, fatta di mura di verità e di slanci altrettanto solidi e ineluttabili. C’è, netta, la dimensione del coinvolgimento emotivo, quello che oscura e cancella tutto il resto. Ma altrettanto vivida è l’esigenza della riflessione, il bisogno di ragionare su ciò che accade intorno, e, soprattutto, dentro. Come ha osservato Giorgio Bárberi Squarotti, il discorso di questo libro di Spagnuolo è allo stesso tempo “narrativo e meditativo, visionario e puntualmente descrittivo”. Una concretezza che a tratti sa volare, ma anche una dimensione onirica che in certi frangenti rintraccia e ricostruisce puntualmente le basi concrete, la fonte e l’origine, se non la causa, delle sensazioni.
Un romanzo riuscito questo di Antonio Spagnuolo. Soprattutto per la sincera e consona capacità di immedesimazione, quel senso di autenticità che nasce dalla condivisione, lucida ma partecipata, con le tappe fondamentali del viaggio esistenziale del protagonista. Un uomo semplice, e tuttavia complesso. Così come complessa è la materia del sogno, quella di cui Amleto parla ad Orazio, con ammirata ironia. La dimensione che ci rende ciò che siamo, nel profondo, nel nucleo del nostro essere, e che nessuno, paradossalmente, potrà mai afferrare. Terra ed aria, concretezza descrittiva e meditazione di più ampio respiro. Sono questi gli elementi che Spagnuolo ha saputo miscelare e portare con sé nelle pagine di questo suo Sogno nel bagaglio. Con la forza affabulatoria che emerge, gradualmente, passo dopo passo, da ciò che si riconosce autentico, credibile, intimamente umano.
Così come credibile, e in qualche modo concreta, o almeno, di sicuro, vitale, è la dimensione del sogno.