Antonio Spagnuolo, Un sogno nel bagaglio

01-05-2007

Un avvertimento insistente, di Adam Vaccaro

Ha il sapore di un avvertimento insistente questo romanzo di Antonio Spagnuolo, che si snoda sul filo sottile di un disincanto di chi ha attraversato mari di tempo e tuttavia non smette di cercare «Un barlume di luce» che pur «debole, avrebbe saputo resistere» tra «queste righe […] pieghe di un graffio, di un respiro, aumentandone le intensità per un grido di speranza». Una volontà che non si arrende alla «completa rabbia del fallimento», mentre cerca «nuovo significato da presentare al lessico delle parole antiche», pur sapendo «la vanità di un domani sempre inaspettato». E che, mentre guarda con lucidità al degrado in atto, continua a sentire come il battito di un lontanissimo big-bang di profonda sapienza mediterranea, che non smette di immaginare la possibilità di “qualcosa”, capace di “con-fondere” «i due vocaboli principali Theos e Kratos». Bastano poche citazioni dalla prima pagina di questo libro per capire la qualità di una scrittura che non si accontenta di esercizi raffinati, ma chiusi nella lingua. Emerge da subito una concezione di letteratura che vuole misurarsi nel «tempo lunghissimo delle immaginazioni» (p. 31) con tutto ciò che si fa storia, piccola o grande che sia. Una ricerca, come dire, di odore del tempo, per capire meglio quello in cui siamo. Non meraviglia certo che anche con questo testo Antonio Spagnuolo sappia donarci una complessità di sensi, conoscendo le precedenti opere del suo percorso di scrittura, in poesia e narrativa. Ma c’è qui una nota di sapore e passione particolari, sorretta da un plot narrativo che ruota intorno alla memoria lacerata di un amore poco o nulla realizzato del personaggio principale: un anziano professore, «specie di guru di una setta sconosciuta […] barbetta grigia ed una minuscola coda di cavallo, che in un bar “Due o tre volte alla settimana cercava compagnia invitando gli alunni di un tempo, per […] un dialogo […] imbastito tra storie vere e storie inventate […] nell’ostinato desiderio di favola”» (p. 6). Narrazione che fa fiorire dai sensi parole sospese tra pensiero e visione, dando valenza a entrambi. Dovrebbe essere il canone, ma sappiamo quanto oggi sia raro. C’è uno strano incrocio tra quadro e personaggi meridionali (di un Sud che si dirama fino al Sudamerica, visto che il professore proviene dal Brasile) e affabulazioni con volute barocche dal sapore mitteleuropeo, che ricordano a tratti Musil; del quale (pur non nominato) compare peraltro una nota citazione: «La poesia è […] un grande non lanciato contro l’esistente» (p. 55). E il professore è certamente personaggio “senza qualità”, che diventa tramite e fornace di lapilli e barlumi, da lanciare contro un orizzonte ben più ampio della sua non-storia d’amore. Passione e scrittura civile di ricerca di senso, diventata spesso l’ultima delle preoccupazioni di tanti scriventi.