Aprile-Zeoli, Le porte d'Oriente

22-02-2005

La lingua di Giardino, di Renato Pallavicini


Il fumetto è un linguaggio e, dunque, come diceva Monsieur de La Palisse, se ne occupano anche i linguisti. Cominciò un quarantennio fa Umberto Eco, buttando a mare la «bambinità» del medium e restituendogli una dignità «adulta». Su quella strada, tra lingua e comunicazione, molti altri si sono messi: da Daniele Barbieri a Sergio Brancato, da Gino Frezza a Benoit Peeters, per citare tra i più acuti e assidui «lettori» dei fumetti. Marcello Aprile e Simone Zeoli sono due linguisti che hanno applicato le loro conoscenze e le loro tecniche a un maestro del fumetto italiano e internazionale come Vittorio Giardino. Ne è venuto fuori un interessante libro, Le porte d’Oriente. Lettura linguistica dei fumetti di Vittorio Giardino (Manni, pagg. 112, euro 16,00), che ha la serietà di un saggio accademico, ma che si legge in scioltezza, anche perché il volume sembra un vero e proprio albo a fumetti, per formato e per ricchezza di illustrazioni, del resto assolutamente necessarie allo svolgimento e alla comprensione del testo (dovrebbe accadere sempre così per i libri che si occupano di fumetto, solitamente invece, avari di «illustrazioni»). Così, alla fine della lettura, l’impressione, piacevole, è quella di aver assistito a una tutt’altro che noiosa lezione universitaria con tanto di proiezione di immagini. Il libro è composto di due saggi distinti: il primo si concentra di più sulla struttura grafica delle tavole di Vittorio Giardino (formato, forma e articolazione delle vignette); il secondo sulla struttura linguistica, sulle «parole» vere e proprie, scritte (o dette) all’interno dei balloon, operando una puntigliosa analisi logico-grammaticale della lingua «giardinesca». Che Giardino fosse un autore con la «a» maiuscola non c’erano dubbi,ma il libro di Aprile e Zeoli ci fa capire che cosa significhi davvero la parola autore.
Attraverso l’analisi di storie come Rapsodia ungherese, La porta d’Oriente, NoPasarán, Jonas Fink, ci mostra la ricchezza e l’evoluzione non di uno stile, ma di una lingua che si articola e si affina negli anni; fa vedere ciò che il lettore comune è abituato solo guardare; scopre la sapienza grafica e registica con cui l’autore bolognese ci fa attraversare tempi e luoghi; svela la «struttura» su cui Giardino costruisce le sue storie. E le sorprese non sono poche.