Partite da dimenticare, di Claudia Presicce
È la malattia numero uno degli italiani. Ma rappresenta anche il loro più grande piacere. Croce e delizia, passione e tormento, il calcio non risparmia (quasi) nessuno. Con un libro intitolato Messi a 90 (di libera interpretazione) ecco, pubblicato da Mann, il calciopensiero a due voci di Cosimo Argentina e Fiorenzo Baini.
Argentina, scrittore tarantino residente in Brianza, con il calcio ha antiche frequentazioni letterarie, a cominciare dal bellissimo romanzo Cuore di cuoio che edito da Sironi sta per tornare in libreria con Messi a 90. Le partite più raccapriccianti dell’Italia ai Mondiali. In previsione del Campionato del mondo, un modo di guardarsi indietro, ricordare, riflettere, sorridere.
Calcio di ieri o calcio di oggi? Qual è, Argentina, la stagione migliore? Esiste un decennio mitico in assoluto?
«Non credo, è tutto legato ad un valore personale. Quando si parla del miglior calcio, delle stagioni più belle, succede come con le canzoni che ognuno riconduce alla propria vita e ai propri ricordi. Quelle del passato hanno un gusto sempre più forte rispetto a quelle attuali per chi ha un vissuto. Per me il periodo mitico è quello degli anni Settanta, anche se era un calcio molto lento e c’erano pure giocatori con la pancia a cui oggi non farebbero fare neanche il magazziniere. Però erano bravi lo stesso, non li vedevi sempre in tv come oggi, ma solo ogni quindici giorni in campo e ti sembravano mitici. Quando li sentivi parlavi era un evento eccezionale. Ma se dovessi giudicare il livello atletico sarebbe un’altra storia…».
Si saranno raffinati tecnica e muscoli, ma un tempo c’era più poesia intorno al calcio. Oppure avevamo altri occhi per guardare?
«Un po’ entrambe le cose. C’era più poesia perché giocatori come Ezio Vendrame oggi non esisterebbero, verrebbero cacciati via: lui era uno che arrivava ubriaco in campo e all’intervallo cercava di insidiare la moglie dell’allenatore. Oggi sono professionisti fino al midollo, sanno quello che devono fare, hanno i riflettori puntati addosso. Un tempo avevamo occhi diversi anche perché ci sembravano irraggiungibili, ma al tempo stesso erano vicini alla gente comune. Quando smettevano di giocare si aprivano magari una pompa di benzina in fondo alla strada di casa tua. Oggi invece pensi a Maldini che ha lasciato il calcio e ti sembra comunque un marziano, in giro con donne bellissime, con macchine di lusso, solo nei privè dei locali dove tu non entrerai mai».
I campioni di un tempo spesso arrivavano dal nulla. Ce la facevano solo perché erano bravi…
«Il fatto di arrivare dal niente e diventare un campione è una cosa che il calcio ancora ce la regala. Perché a pensarci bene è l’unico ambito in cui la raccomandazione non conta. Nel senso che se uno vuol fare l’insegnante, il giornalista o il notaio, la raccomandazione è utile, ma nel calcio se arrivi in serie B o A, non sfuggi all’impietosa valutazione dei tifosi. E se non sei all’altezza, fai una figuraccia e te ne vai. Questa selezione non esiste neanche nel mondo della letteratura perché il successo di uno scrittore si può creare a tavolino e al massimo la gente pensa di non essere lei in grado di capire la grandezza di un autore. Pensa: “cavolo, non mi piace, però se ha vinto lo Strega…”. Nel calcio non funziona così, perché se uno sbaglia il primo passaggio, poi il secondo, poi il terzo è finita. Ci sono sì intrallazzi a livello di società e partite truccate, ma su un campione non si può barare. Quest’anno, per esempio, il Taranto ha preso dei giocatori con contratti faraonici chissà perché: dopo bordate di fischi sono tornati tutti a casa».
Tuttavia anche quelli bravi non sono però degli esempi…
«Certo, per i troppi soldi. Vivono in torri dorate e perdono il contatto con la realtà. Pensiamo che i più grandi degli anni Settanta, un Rivera e un Mazzola, guadagnavano quanto oggi guadagna un mediocre giocatore di C».
Oggi si parla tanto di violenza nel calcio, ma non ci sono sempre state queste cose?
«In parte sì, ma oggi il gesto viene ingigantito perché c’è un tam tam mass mediatico importante che dovrebbe poi aiutarci a correggere certi atteggiamenti. Un tempo su una battuta sbagliata usciva sì e no un trafiletto. Oggi c’è un’esasperazione esagerata a tutti i livelli. Noi da ragazzi avevamo una dose di umorismo maggiore di fronte alle partite, ci arrabbiavamo, ma poi ridevamo. Invece ora vedo un accanimento, una violenza eccessiva. Io ero un tifoso accanito, ma non ricordo mai di aver fatto a botte con gli avversari».