Benedetto Di Pietro, Il canto della pernice

01-07-2010
Il paradigma della diaspora meridionale, di Vincenzo Orioles

Con Il Canto della Pernice, Benedetto Di Pietro ci riporta al tema della diaspora meridionale. Il clima proiettato in primo piano nella trama narrativa è quello degli anni Cinquanta del secolo scorso, con una evoluzione che, attraverso i protagonisti, ci accompagna nelle dinamiche della società contemporanea.
Si comincia con l’emigrazione della ‘valigia di cartone’. I momenti drammatici di Marcinelle, alla metà degli anni Cinquanta, sono sullo sfondo della vicenda di Gaetano Ternaro. Un’emigrazione antica, sofferta, uno sradicamento forte non solo dai luoghi, ma anche dai sistemi di valori. Nonostante ciò, sospinto da una grande volontà di riscatto, il giovane, originario di Patti, riesce a trovare una sua nuova identità, prima come minatore, scampato miracolosamente al disastro della miniera, e poi tornando alla sua vocazione di artigiano. Gaetano rappresenta l’emigrato di prima generazione che s’inserisce volentieri nel mondo migratorio del Belgio degli anni Cinquanta, una vicenda che accomuna numerosi italiani soprattutto delle regioni del Sud, un’emigrazione povera ma dignitosa in cui il meridionale si ricostruisce una sua identità, una sua capacità di inserimento: emblema di questo suo percorso è l’epico viaggio in treno dell’andata e poi l’immediato inizio dell’attività lavorativa scandita da ritmi infernali.
Nel segno di un percorso intergenerazionale avvincente, le atmosfere e i contesti cambiano quando entra in scena il figlio di Gaetano, Tindaro, il prototipo dell’emigrato di seconda generazione, che pensa di rimuovere le tradizioni della famiglia e in particolare della mamma, alla quale rimane legatissimo pur poi separandosene. Forte di un compiuto controllo e dominio dei meccanismi della società avanzata, Tindaro (che deve il suo nome ad un voto fatto dalla madre alla Madonna venerata a Tindari) diventa un collaboratore fidato dell’azienda che lo prende a cuore e nel cui tessuto produttivo si inserisce con ruoli dirigenziali. Sotto questo aspetto vedo uno sviluppo di estremo interesse, in quanto il protagonista si muove all’interno di una dimensione di industrializzazione forte, con una personalità propositiva, ricca di capacità dinamica, e capace di giovarsi anche del plurilinguismo del Belgio. È interessante osservare che il background belga, con la sua peculiare dialettica tra vallone e fiammingo e con l’apertura anche all’inglese come lingua veicolare, porta Tindaro ad essere al centro di una rete di iniziative internazionali. Ma diciamo che è anche vittima della sua stessa ambizione perché, ad un certo punto, l’idea di rinnovare la logistica dei trasporti gli fa creare prima un gruppo di lavoro d’avanguardia, che è motivo della sua crescita, e nello stesso tempo lo mette in una condizione di competitività, con i suoi stessi colleghi e collaboratori, tale da portarlo alle dimissioni.
Una ulteriore discontinuità che si coglie nella vicenda coincide con la fase più avventurosa, di attivismo imprenditoriale, è il cambio di azienda, il passaggio da Anversa a Parigi, e poi l’assunzione della responsabilità della sede di Milano, filiale dell’azienda francese nella quale è passato. Qui inizia la svolta decisiva che ci porta agli imprevisti e avventurosi sviluppi che fanno di Tindaro un redivivo Mattia Pascal. L’intensità di questo suo lavoro è tale che non riesce a trovare una dimensione quotidiana, per cui l’esperienza del rapporto con Letizia, una giovane conosciuta nel capoluogo lombardo, è già fallimentare dal principio. Questo è il punto importante: la sua capacità di adattarsi agli ambienti più diversi in cui, al servizio dell’azienda, si sposta nel mondo, in una parola la sua esperienza planetaria, gli impedisce il radicamento nella vita di tutti i giorni, quella dei sentimenti, delle piccole cose a cui Letizia voleva avvicinarlo. Letizia aspirava inconsciamente a costruirsi un orizzonte di vita stabile; questa stabilità è estranea a Tindaro. E qui vedo l’inquietudine del siciliano di seconda generazione, la sicilianità come elemento di travaglio che lo porta a rifiutare l’occasione che aveva di vivere una vita comune, la vita a Milano, scandita sì da viaggi, ma anche da momenti semplici di vita familiare vissuti insieme con Letizia. Quindi perde l’occasione di garantire una stabilità alla sua vita e al contrario diventa sempre più irrequieto. Ecco allora che subentra quello che nella tragedia greca veniva chiamato ‘agnizione’, ossia l’episodio risolutivo che è quello dell’uragano Mitch in Honduras. Questo è il momento in cui Tindaro intravede improvvisamente la possibilità di razionalizzare questa sua assenza che diventa una scelta e viene codificata nella nuova identità che si procura e che gli permette di vivere una nuova bella esperienza con Consuelo, la crocerossina venezuelana, e di trovare un’imprevista svolta esistenziale che lo porta a tagliare completamente il legame con la sua famiglia di origine e con la moglie Letizia. E dopo il momento dell’improvviso riconoscimento da parte della moglie, entrambi saranno coinvolti in una finzione che permetterà di continuare, da quello che si capisce, in questa loro vita separata.
In questa interessante prova letteraria di Benedetto Di Pietro, in definitiva ci misuriamo con degli episodi emblematici che si verificano nella prima stagione dell’emigrazione degli anni Cinquanta; però la grande originalità dell’itinerario narrativo è il rinnovamento costante dei personaggi e del contesto in cui vivono. Non abbiamo cioè la scontata traiettoria dell’emigrazione nostalgica, il nostos (un altro mito dell’antica tragedia greca); non c’è per nulla il ritorno alle origini, anzi c’è la capacità d’inserirsi nelle dinamiche di una società avanzata. Tindaro è il nuovo padre, adattato ad una nuova realtà, che vive la capacità di adeguarsi ad una società complessa; non è uno sradicato, ma è perfettamente inserito. È il figlio dell’emigrato che riesce a vivere in una proiezione ancora più moderna. Qui l’emigrazione diventa una strategia di crescita sociale, un rinnovamento della propria personalità, un dinamismo per scoprire la parte migliore di sé. Senonché, la vita all’interno dell’azienda, i ruoli di responsabilità che Tindaro ricopre gli fanno vivere questa nuova dimensione in un modo esasperato ed ecco che allora si allontana dalla quotidianità e vive in un’atmosfera surreale fatta solo di vita al servizio dell’impresa, con un movimento costante planetario. Quando è giunto il momento della stabilità, l’uomo perde l’autobus. Perché succede questo? Perché subentra l’inquietudine esistenziale, un’inquietudine che trova poi una sua sintesi nella vicenda centro-americana, legata ad uno degli usuali accordi commerciali che doveva portare a termine. Qui trova la possibilità di placare questo suo tormento interiore, questa sua costante difficoltà di adattamento a ritmi di vita prevedibili e decide d’inventarsi una nuova identità, di restare sì coerente al suo personaggio, alla luce però di un nuovo rapporto con una donna nella quale vede un’umanità maggiore di quanto non ne vedesse nella moglie Letizia. È probabile che ci sia anche questo, chissà se in Letizia non vedesse anche un’opportunista, una che cercava solo una ‘sistemazione’.
Molto interessanti e cangianti, molto diverse sono le figure femminili della prova narrativa di Di Pietro. Finora abbiamo affrontato il tema siciliano della diaspora, declinato da una parte secondo la figura paterna tradizionale e dall’altra secondo quella del figlio aperto all’innovazione. Ma sono interessanti anche le figure femminili: Teresa, la madre protettiva che affianca Gaetano, tipica fedele compagna priva d’iniziativa, che rappresenta i valori della tradizione; poi Letizia – ricordiamo che siamo verso la fine degli anni Ottanta – è la donna che incarna la trasformazione della figura femminile, piena di contraddizioni, moderna, ma che, nella festa di fine anno, vede in Tindaro l’occasione che le dia un ruolo e una dignità esteriore, a cui poi si aggrappa con la nascita del figlio vivendo sempre più una sua regressione verso la figura materna, madre-tigre in certo senso. Questa sua caratteristica speculativa si mantiene anche dopo, allorché preferisce i soldi della polizza assicurativa stipulata da Tindaro in suo favore piuttosto che recuperare il marito e farlo rinascere a nuova vita. Il terzo profilo appartiene a Consuelo, la donna cilena che ha vissuto fin da bambina, in Venezuela, l’esilio scelto dal padre per sfuggire a Pinochet dopo la morte di Allende. È una donna più autentica, l’opposto di Letizia, e capace di instaurare con Tindaro un rapporto vero e sincero, basato soltanto sui sentimenti.