Bernardo Baratti, Senza francobollo

01-12-2008

Fra disincanto e passione, di Marco Romanelli

Alla fiorente tradizione delle interviste impossibili e delle biografie immaginarie (ricordiamo in proposito alcune irresistibili performances di Umberto Eco in Diario minimo) si aggiungono ora questi “carteggi impossibili” di Bernardo Baratti. Diciamo subito però che, a differenza della maggior parte dei suoi predecessori, Baratti esce dall’ambito del puro divertissement per inoltrarsi su un terreno molto più impegnativo. In realtà, il “carteggio impossibile” diventa qui un modo per affrontare temi di grande respiro senza assumere la allure del pensatore o il cipiglio dello specialista, ma restando, invece, all’interno di una dimensione affabulatoria di grande godibilità. Prendiamo, per esempio, il penultimo dei sei carteggi, Caro Freud… Caro Jung, che tocca una questione centrale per intensità e attualità, quella cioè della natura relativa della conoscenza e della fungibilità dei punti di vista rispetto alla variazione dei contesti. Ebbene, su una questione così drammatica, non a caso oggetto di ripetute e solenni prese di posizione da parte di Benedetto XVI, Bernardo Baratti, che verosimilmente non ambisce al soglio pontificio, interviene con tocco più leggero e con una buona dose di disincanto, ma anche dimostrando di avere tutte le carte in regola sul piano delle conoscenze specifiche. Il risultato è che leggendo si impara qualcosa sul pensiero freudiano e junghiano, si avvia una riflessione sul grande tema dell’oggettività del sapere e, contestualmente, si gioca con intelligenza e humour sulla inconsistenza delle ambizioni umane di raggiungere la verità: e scusate se è poco. Tutto il libro funziona così, sulla base di una costante dialettica fra disincanto e passione, fra ironia e coinvolgimento. Tuttavia, questa struttura profonda del testo presenta due eccezioni, ravvisabili (e, crediamo, non casualmente) nel primo e nell’ultimo dei carteggi. Sono due episodi che, data la loro collocazione, aprono e chiudono il libro delimitandolo con l’apparizione in prima persona della personalità dell’autore che appone così l’intera opera, altrimenti un po’ troppo connotata in senso scettico e accademicamente distaccato, il sigillo del proprio vissuto. Nel primo carteggio, Caro critico… Caro narratore, la corrispondenza fra Gian Edgardo Gabinett, scrittore, e Pier Baldassarre Stiti, critico, adombra caricaturalmente (ma neanche troppo) l’esperienza vissuta in prima persona da Baratti ai suoi esordi nel mondo dell’editoria. La spassosa diatriba fra l’autore di romanzi lassativi e il critico stitico non nasconde le tracce di un dispetto sopravvissuto negli anni nei confronti di un ambiente gretto e ottuso in cui le funzioni intestinali prevalgono su quelle intellettuali. A sua volta l’ultimo carteggio, Caro Bernardo… Caro Enzo, recupera, nei termini di una emozionante corrispondenza con un caro amico scomparso, una carica di dirompente affettività che mette finalmente in minoranza l’approccio ironico e disincantato fino a questo punto prevalente e rivela senza più pudori tutto il potenziale emotivo dell’autore, tentato anche da una inaspettata fascinazione metafisica e, a suo modo, religiosa. Con questa nota sorprendente, e quindi ancor più suggestiva, si chiude la prova eccellente di uno scrittore che dimostra di saper distinguere fra ironia intelligente e sciocco esibizionismo “trasgressivo” e che riesce ad essere spiritoso senza mai scadere nella strizzata d’occhio corriva e volgare: cosa, di questi tempi, mirabile a dirsi e che consiglia senz’altro la lettura di questo prezioso libretto.