La parola frantumata, di Angelo Lippi
Evitiamo i preamboli inutili. Partiamo dal titolo: Dissimiglianze, un ritorno. È ben visibile a chiunque si accosti alla poesia di Augieri che la sua “parola frantumata” non è una figura retorica né un crudo escamotage, quant’anche colto, piuttosto è una scelta che si qualifica e si impone come modello di vitalità.
Così il poeta sposta ogni attimo la nostra prospettiva, ed è allora che entra in gioco la casualità, provvisorietà, il non accaduto perché è già accaduto, nel recinto della nostra esistenza e della nostra esperienza.
Piccoli annunci, lo scorre di fotogrammi, altrettanti scambi di esperienze, tante, troppe, uniche, discutibili, ma sempre DENTRO per una messa in discussione.
Che e cosa, ancora, l’io, la persistenza della personalità, lo spasmo di una verità cercata e non trovata –e probabilmente non voluta– per non perdersi nell’ovvietà, nella dimenticanza del volo.
E poi: l’Ascolto. Di Sè, dell’Altro, dell’altro in sé, una possibile configurazione d’ideali, di abissi che si aprono, di cieli che sognano l’azzurro. Una riflessione. Anni fa avevo pensato (cosa che poi non ho realizzato) una mostra di arte figurativa dal titolo: “Azzurro. La felicità della pittura”, proprio come Augieri e il suo “sgomentando l’azzurro… ancora l’azzurro”, e il suo dialogo con Mallarmé sull’ossessione… l’Azzurro.
“Dell’eternità fugace dell’azzurro / ho rimorso”, questo l’incipit fino al trionfo, nel transito delle melanconie: “fuggi, Azzurro, fuggi dalle campane / moderne”; nello scalpitio della ricerca: “cerco l’Azzurro negli occhi chiusi ritrovo / l’azzurro nelle mani chiuse…”, per non lasciarsi ingabbiare: “nel seppellimento azzurra la colpa… fugge / l’Azzurro / da noi”; per definirsi nei luoghi del tempo, delle memorie, per indovinare quello che c’è Oltre al di là del Nulla, al di là della insipienza del Vuoto: “Zingarare in Incontro… dove / l’azzurro… fino al / l’Azzurro…”.
La poesia di Augieri sollecita ascolto, un ascolto che passa attraverso l’intelligenza, la cultura, l’anima, l’emozione di un pensiero che si fa verso, rincorsa verso un utopico traguardo. Attorno non esistono legami, perché egli afferma che “alla poesia ci si accosta ‘sintonicamente’, ossia poeticamente”, il che, per dirla in parole povere, è un volo, un lampo intermittente in cui nulla è afferrabile… tutto è lì dentro… ognuno vive in uno spazio inconfessabile, in uno spazio indefinito e indefinibile.
Il libro si articola su cinque “eventi”, così ci piace classificarli. Ogni stanza vive della propria autonomia, ma non può fare a meno dell’altra. Ognuno respira di Sé, ma è l’Altro, la possibilità e la condizione di “trovarsi” o “ri-trovarsi” per una “dissimiglianza – somigliante”, quindi nella imprecisabilità del dettato logico. La sua natura è nella condizione di mettere a fuoco le parole, le cose, di carpirne le oscillazioni, di movimentarne gli spostamenti o spaesamenti.
Ora scomponiamo quel titolo: “di somiglianze”, cioè penetrare nel labirinto, quindi la necessità di porsi davanti ad una realtà, ad uno specchio. Per fare cosa? Per rintracciare chi? Che cosa? Non, ovviamente, un fattore narcisistico, un’apologia dell’intimismo; tutt’altro: scavalcare la “somiglianza” PER dirsi, PER farsi parola… Poi, il ritorno, i ritorni, un ritorno, il ri-trovarsi (io e Carlo), una simbiosi ideale ma non idealistica, nel segno e nelle cadenze di un’immagine, di un insieme di parole, di possibili intrecci perché l’una: “l’immagine”, quindi la “somiglianza” e l’altra “la parola” – il “ritorno” di una vocalità.