Una zattera della "Meduse" appassionante e fantastica, di Laura Gemini
Carlo Capuano presenta una nuova opera, La zattera della Meduse, un lungo poema che coniuga la realtà di un fatto storico con la poesia, sposandola poi alla filosofia e inoltre evidenzia la giustizia, l’uguaglianza e il grande desiderio di libertà di tutti gli uomini. È un’allegoria della vita e delle tragedie sociali legate ad un potere politico incapace e miope in tutti i tempi. Protagonista è una zattera, scempio che galleggia, abitata da uomini davanti a un lontano orizzonte e che hanno di umano solo i lamenti. Il poema è dedicato ad un grande pittore francese dell’Ottocento, Jean Louis Theodore Géricault, iniziatore della scuola romantica, e in particolare è un omaggio in versi al dipinto La zattera della Meduse che tanto fece riflettere e polemizzare. Louis Géricault trasse ispirazione, per questo quadro famoso, da un passaggio sconvolgente nella storia della Francia del Diciannovesimo secolo. Come leggiamo nella nota introduttiva al volume, dopo la rovinosa ritirata in Russia i nemici di Napoleone lo sconfissero a Lipsia nell’ottobre del 1813. Con il suo esilio all’isola d’Elba l’avventura del generale sembrava finita, ma si concluse definitivamente con la sua abdicazione, dopo la disfatta di Waterloo, quando fu relegato all’isola di Sant’Elena. Ma era bastato l’annuncio della disfatta, perché i popolani istigati dai realisti, si gettassero su tutto dandosi al saccheggio e alla distruzione. Si bruciarono le bandiere e i massacri si estesero in tutta la Francia. Personaggi del passato si ripresentarono sulla scena politica, con l’arroganza di prima, a reclamare i favori perduti; i nobili rientrarono in patria per riprendere i posti di potere e i ricchi borghesi si attestarono su posizioni di grande privilegio con mani ingorde e incapaci. In questo marasma nasce l’avventura della fregata Meduse che, insieme ad altre tre navi, portava uomini di qualsiasi esperienza, a ricostruire un’amministrazione francese in Senegal, località che la nave non raggiunse mai, perché finì contro il Banco di Arguin nell’Oceano Pacifico e si incagliò restando un punto fisso in mezzo al mare. Ha appena due anni Theodore Géricault quando nel gennaio del 1793 Luigi XVI viene ghigliottinato e quando la sua famiglia da Rouen si trasferisce a Parigi. Crescendo, il ragazzo si dedicherà allo studio della pittura, attratto però da quel senso laico di un’arte molto contraria alla moda clericale che ispirava i pittori dell’epoca. Il viaggio in Italia del 1816 e, in particolare, il carnevale romano, gli suggerì la visione di un’opera sulla plebe da creare con grande energia e vitalità finalmente libera da oscurantismi che ancora ingrigivano la Francia. L’episodio della zattera, divenne per lui una idea ossessiva e fu sempre presente nei suoi pensieri. L’opera costò a Géricault un anno di lavoro, aiutato dall’incoraggiamento dell’amico Delacroix, che poi venne ritratto dall’artista in mezzo alle figure più disperate della sua zattera. Il 25 agosto del 1819 la tela delle Meduse viene esposta al Salon di Parigi in mezzo ad una accoglienza fredda e ostile: difficile in quell’epoca far capire la voce nuova di una generazione in cui, proprio come nella zattera, un uomo sotto la semplice passione dell’esistenza, senza più leggi e condizionamenti, è costretto ad aggrapparsi solo ad una incerta speranza.
Il poema di Carlo Capuano mette in risalto il dipinto di Géricault con dei passaggi veritieri e commoventi che vale la pena di ricordare: “È già fortuna / restare tra i pochi / che riusciranno fortunosamente a salvarsi. / I perduti non saranno mai compianti / non ci sarà memoria rapiti dall’ignoto. / Sono altri ancora avvolti in tele di seta, damaschi, velluti colorati / che avrebbero meritato un più pesante affanno. / Per loro c’è sempre la salvezza. / Risparmiati a qualsiasi naufragio / se non per ambizione esasperata / per incauto dissidio o sfida con chi è ancora più forte / solo così conosceranno il contagio del male”; e ancora: “I nomi resteranno come aggrappati / alle pietre della memoria / e a ognuno corrisponde una vicenda / il sapore sconosciuto di una storia / su di loro scenderà una gloria / che li accosta ai vivi. / E chiederanno acqua per dissetarsi / e chiederanno perdono per nessuna colpa / e il male mai sconfitto si acquieta interamente / come se stesse per allontanarsi / invece prossima è la fine”. Carlo Capuano è nato a Montecatini, ma vive a Roma. Grafico, pubblicista, scrittore, crea disegni satirici per vari periodici. È presente in manifestazioni e mostre e per sei volte ha partecipato all’Humourfest di Foligno ottenendo significativi riconoscimenti per la sua produzione. Viaggia molto e ha soggiornato a lungo in Inghilterra, Germania e Francia.