Veltronite elettorale in libreria. Pure Alemanno si "walterizza", di Luca Mastrantonio
Si scrive “Veltronite”, ma non è un minerale –anche se Veltroni è un sindaco alla criptonite– piuttosto una valigia come la Samsonite. Nelle librerie, infatti, ormai c’è un baule ideale, una borsa senza fondo, tipo Mary Poppins, da cui sbucano decine e decine di libri di e su Veltroni. I titoli di suo pugno, politici , letterari, saggistici, vanno da Il Pci e la questione giovanile a I care, da Senza Patricio al prossimo romanzo che il sindaco grafomane dovrebbe dare alle stampe per l’inverno prossimo. Ma in questi giorni di campagna elettorale per le comunali, Veltroni è la guest-star dei libri-galleria sui sindaci di Roma o sul futuro prossimo della capitale. E la veltronite diventa febbre editoriale.
Sta per uscire in libreria Roma città futura, di Carmine Fotia, vicedirettore del Tg di La7. Il titolo riecheggia il nome della radio storica dei movimenti romani di sinistra, attualmente nel circuito di Area di Renato Sorace, dove la mattina Fassino dialoga con Pierluigi Diaco. In copertina, però, c’è Veltroni con la fascia da sindaco. L’editore del libro, Manni, aveva pensato a una “conversazione con”, sullo stile del precedente libro dedicato a Zapatero. Ma i grandi impegni di Veltroni e il suo intimo spirito ecumenico hanno portato a un libro sul “mondo Veltroni”. Parlano di lui i fedelissimi e gli uomini più vicini. Ma anche quelli più lontani, come l’antagonista Gianni Alemanno, finiscono per assomigliargli. Il candidato di destra, infatti, sembra la copia-carbone di Veltroni, come sottolinea lo stesso Fotia. «Mi piace la sua tolleranza - dice Alemanno di Veltroni - la voglia di dialogo e di abbattimento dei muri, anche verso la destra».
Alemanno sostiene che c’è una sovraesposizione mediatica del messaggio veltroniano e per distinguersi punta a fare il cleri-con liberista: «Noi pensiamo a Roma città universale e capitale del cristianesimo, e perciò grande snodo della rete globale. Questa dimensione non è assente in Veltroni ma dovrebbe essere gestita in modo molto più competitivo: Tokyo, Seul, New York, Londra sono più competitive di Roma, ci vuole più imprenditorialità altrimenti ricadiamo nella retorica. Ci vuole più capacità di attrarre investimenti internazionali, con uno slogan potremmo dire che Roma da questo punto di vista deve essere più liberista». E poi «dobbiamo sperimentare una welfare community, ovvero una struttura dei servizi sociali veramente affidata al no-profit, al privato sociale, al volontariato perché la presenza a Roma della Chiesa cattolica con tutte le sue diramazioni è un tale potenziale che se questo modello non si realizza qui non si vede dove altro può accadere. (…) L’identità universale di Roma non nasce da una parificazione di tutte le identità. Roma è universale non malgrado, ma proprio perché è cattolica, con tutto ciò che ne deriva in termini di valori». Se si eccettua quest’ultima frase lepantina, da moderati-clericali in stile vecchio Partito romano, a certificare l’ecumenismo rosso-bianco di Veltroni, basti ricordare che da direttore dell’Unità fece distribuire il Vangelo e da sindaco conferì la cittadinanza onoraria al papa Karol Wojtyla.
Poco prima, conversando con Fotia, proprio Goffredo Bettini, artifex di Rutelli sindaco ed eminenza grigia di Veltroni - attualmente in corsa per il ministero dei beni culturali - aveva parlato di quella welfare community proposta da Alemanno come tratto distintivo - oltre ad una maggiore liberalizzazione (ma piacerà ad An? Una città con meno amministrazione pubblica e più capitale straniero?) - e aveva fornito alcune pennellate oblique su Veltroni, “papa laico”: «Anzitutto ha rispetto per il partito da cui proviene, ma non vuole “veltronizzarlo”, vi si rapporta con grande autorevolezza istituzionale. Poi, non si lascia trascinare nella rissa politica nazionale. Dal punto di vista amministrativo porta a termine tutte le modernizzazioni avviate. Walter tende a proporre Roma come protagonista di grandi processi: l’Africa, la pace, i rifugiati. Insomma, si comporta un po’ come un papa laico. Infine, l’attenzione verso i poveri, i più deboli, l’ascolto del disagio. E così riesce a tenere insieme le tre anime di Roma: città moderna, città con un cuore antico che la fa unica nel mondo, città che include».
Bettini è descritto da Fotia come l’Orson Welles di quel film chiamato Modello Roma, interpretato prima da Rutelli e ora da Veltroni. Un tandem su cui Paolo Mieli riflette, conversando con Fotia, in rapporto al Partito democratico. Il cui embrione è rappresentato proprio dal ticket di Roma: «La città può essere come uno zolfanello, che accende un fuoco che poi però deve svilupparsi da solo; l’amministrazione è poco adatta ad essere la culla di un progetto politico, o meglio, può esserlo solo nella fase iniziale». Rutelli e Veltroni devono agire su scala nazionale: «O questo progetto lo mettono in campo ora o Rutelli e Veltroni saranno due ex splendidi dirigenti come gli ex splendidi quarantenni dei film di Moretti. Questo è anche l’unico modo per rafforzare quella così risicata maggioranza di centrosinistra uscita dal voto e che può essere irrobustita solo se crescerà una forza nuova che lavori a una prospettiva, a un progetto per l’Italia: la prossima volta il centrosinistra non potrà ripresentarsi come un Cln antiqualcosa».
In un altro fresco di stampa, edito da Donzelli, I sindaci a Roma, c’è un interessante excursus - oltre all’analisi di tutti i sindaci dal 1944, con il principe Filippo Andrea Doria Pamphilj, ad oggi - sul Partito romano: «Una lobby interna al mondo ecclesiastico assai influente di orientamento politico clerico-moderato». L’importante è che il tandem consolare Rutelli-Veltroni, per il futuro partito democratico, non diventi la versione aggiornata e catto-comunista di quel partito albertosordiano. Anche Grazia Pagnotta, comunque, autrice di Sindaci a Roma, quando scrive il capitolo “La città del futuro” parla di Veltroni e Rutelli.