Chicchi

24-04-2008
Piccoli grani da raccogliere a volo, di Giuseppe Cassieri
 
“l’immaginazione”, rivista libertariamente cresciuta negli ultimi decenni (a tutt’oggi 237 fascicoli densi di pensiero critico e sfide letterarie) è, al tempo stesso, emblema dell’editrice Manni e impronta personale di Anna Grazia D’Oria. È lei che dirige la rivista, lei l’editor del «Pretesti», lei che arricchisce il catalogo di firme illustri (da un inedito di Maria Corti a Luca Canali, da Romano Luperini a Edoardo Sanguineti, da Giuseppe Bonaviri a Vincenzo Consolo, da Luigi Malerba a Renato Barilli…) e contrasta l’editoria di mercato con iniziative fuori corrente, dirette a settori dinamici, ostici a ciò che passa il convento mediatico.
Coraggiosa e, manco a dirlo, immaginifica, Anna Grazia D’Oria lancia una collanina dal titolo «Chicchi» (chicchi di sale, di sapienza, di grano…), grafica elegante, formato 11x16,5 un massimo di 30-40 pagine, euro 5,00 da fruire in autobus, in treno, in aereo e magari in beauty-farm. I primi quattro sono già indicativi della varietà disciplinare: narrazione, autobiografia, antropologia, linguistica.
Apre Raffaele La Capria con la lotta intestina degli amori, la complicità di Psiche, l’educazione sentimentale, gli affanni del sesso, il varco tormentoso dell’adolescenza, l’«io» criptico della donna e l’«io» incauto del partner: La Capria riprende volentieri questi motivi di lungo percorso, preserva i delicati meccanismi dell’«estrapolazione», mette al centro, con la finezza analitica che gli è propria, le fonti prescelte e le traduce in godibili lampi di gioventù.
Il «Chicco» di Nico Naldini ci immerge nella Venezia post-bellica, con gli echi estetizzanti di Ruskin, la tribù cosmopolita, le feste di Palazzo Labia, i trionfi della Fenice, i signori che avevano dilapidato intere sostanze e mangiavano di nascosto un panino sulle panche del Palazzo Ducale, le «mezze checche» provenienti dalla campagna circostante, le presenze di De Pisis, Comisso, Diego Valeri, Moravia, Montale, Goffredo Parise, che stava scrivendo Il ragazzo morto e le comete, sostenuto da un piccolo mensile di Neri Pozza. Naldini si rivolge in forma epistolare, spesso dolente, all’amico Francesco, gli confida i suoi desideri, le sue delusioni, alcuni incontri sublimati nel ricordo (Michelangelo Antonioni in un dicembre nebbioso a Piazza San Marco; in gondola con Fellini che progettava un film sulla più bella città del mondo). Ahimè, «quella Venezia di cui parlo – dice Nico a Francesco – ti è sfuggita e non la rivedrai mai più».
Il «chicco» di Marosia Castaldi ha un titolo secco, ironicamente epifanico: Televisione. Come dire, basta la parola: essa è. In poche pagine riusciamo a cogliere uno scorcio di vita ordinaria, alleggerita da virgole, punti, puntini, parentesi… Una tabula erosiva che, per l’austerità del fraseggio, evoca un po’ i Sillabari di Parise. Ma nulla toglie al controllatissimo appeal dell’autrice.
Il quarto chicco è dell’antropologo Antonio Prete. L’autore ci porta a nord del Tropico del Capricorno, ci distanzia dall’iperteso Occidente e ci svela un lembo del pianeta attraverso il vissuto di Un anno a Soyumba. Il fascino di questa remota civiltà abbraccia costumi, credenze, religione animistica, iniziazioni, sistema giudiziario «sorprendente» per noi europei, culto della luce lunare, poligamia e poliandria, lessico mitologico…
Prete è così innamorato di Soyumba che afferma: «Per raccontare tutto questo con una cognizione non superficiale occorre ch’io torni laggiù». E aggiunge: «Sarà solo un viaggio oppure un addio al mio paese, alla mia lingua, ai miei affetti?». Quali che siano le sue decisioni, l’antropologo ci ha contagiato e ci ha trasmesso un sottile messaggio ben oltre Soyumba: incidere nella memoria la voce autoctona di quest’isola prima che il global la cancelli.