Claudia Patuzzi indaga nella stanza di Garibaldi, di Antonella Colombo
Una saga familiare, il ritratto a tutto tondo di un uomo che appare “muto” e solitario. Questo e molto altro ci rivela il libro di Claudia Patuzzi intitolato La stanza di Garibaldi.
Il libro narra gli accadimenti della vita dello zio Ghislain. La sua esistenza in qualche modo si accompagna e si intreccia con il racconto di altre vite. Sono quelle della zia Germane, e l’altra, della madre Henriette, e ancora una terza, quella del padre Rolando.
Oltre le esistenze (per qualche verso intriganti e da raccontare) di molti altri parenti, chiamati dal destino e dal susseguirsi degli accadimenti a fare la spola tra il Belgio e l’Italia. È un romanzo perennemente “in bilico” La stanza di Garibaldi, che oscilla tra l’amore dei protagonisti per le loro radici non solo culturali e il pressante desiderio di evadere per cambiare. Cambiare il Paese, ma soprattutto le abitudini. E la lingua. La stanza di Garibaldi è per l’appunto la storia di una famiglia, raccontata attraverso la voce, i ricordi, le lettere di alcuni dei suoi componenti che aprono al lettore il personale album di ricordi con un’assoluta fiducia nel passato. Nel libro si intrecciano storie strettamente personali con altre che possono definirsi collettive, ma anche narrazioni intime e assolute, che vengono raccontate attraverso una lingua particolarmente curata, ma anche attenta, confidenziale e familiare anch’essa.
Come scrive Dacia Maraini nella sua postfazione “questo romanzo familiare è un atto di fiducia gloriosa nella memoria, non tanto turbinoso fiocco di neve, quanto “rete distesa” che raccoglie i pesci del pensiero, ne fa nutrimento per il presente e, dopo averli affumicati e distesi fra foglie profumate, li conserva come un prezioso cibo per il futuro”.