Claudio Menni, Gardo Mongardo

01-08-2007
Consigli di lettura, di Carlo D'Amicis

Quando lavori in un posto come Fahrenheit (la trasmissione sui libri di Radio 3), e ogni mattina trovi sulla scrivania nuove pile di volumi, e ti basta una telefonata per ricevere la copia che ti serve, e devi leggere pagine e pagine ogni giorno, il tuo rapporto con i libri finisce con l’assomigliare a quello che un attore porno ha (immagino) con il sesso: devi ciò ridisegnare una passione. Inventarti un percorso alternativo per accedere al piacere. O magari recuperarne certe antiche seduzioni.
Ciò che Rocco Siffredi potrebbe trovare emozionante (e perfino trasgressivo) in una passeggiata mano nella mano, o in un corteggiamento a lume di candela, io lo vivo entrando di soppiatto in una libreria, superando gli scaffali di Rizzoli, Einaudi o Mondadori, e andando ad annusare (in senso metaforico, però anche realistico – ché tra i criteri di Fahrenheit non potrei invocare l’odore della carta, ma nel mio feticismo personale invece sì) le edizioni che più fanno fatica ad aggiudicarsi la vetrina, le recensioni sull’Espresso, e talvolta (sebbene, dell’assenza di pregiudizi e di larvate connivenze, la redazione del programma si faccia un punto d’onore) anche lo spazio del libro del giorno a Fahrenheit.
E’ qui, nel retrobottega, che libero i miei ormoni di lettore. Ed è qui - dove gli incontri sono meno banali, più rischiosi, ma in certi casi davvero sorprendenti - che vi invito a raggiungermi con la valigia da portare in vacanza. E pazienza se, tra costumi da bagno e creme abbronzanti, lo spazio che rimane per i libri non è ampio: quelli che vi suggerisco sono concentrati di letteratura; e il talento dei loro autori si espande a macchia d’olio nelle menti di chi legge, ma non sbrodola mai oltre la pagina che serve.
Un poema civile, per cominciare: l’ha scritto Aurelio Picca (L’Italia è morta, io sono l’Italia, Edizioni L’Obliquo), epitaffio di dolore e d’amore, di pena e di antica fierezza per un paese che - esalando come Italia - sembra chiedere in punto di morte a chi lo vive il coraggio di dirsi italiano (“Così l’Italia è morta. Mia madre è morta. Ma io sono dio perché sono l’Italia”, si conclude).
Poi un romanzo ribelle nella lingua e - seppure in modo obliquo, un po’ passivo - nel personaggio che lo anima (Gardo Mongardo, Manni Editori); viaggio di non-formazione di un picaro dei nostri tempi che, dalla provincia italica, si trova catapultato senza arte né parte tra i fasti di un party a Cannes, la miseria di una favelas brasiliana, le mille luci di New York; e tutto - proprio perché senza arte né parte -, tutto supera ammaccandosi ma senza mai soccombere, con una divina idiozia quasi dostoevskiana che si esprime in un linguaggio promiscuo e contaminato alla Celine. Lo ha scritto Claudio Menni, questo piccolo gioiello che certo non si fa ricordare solo per la curiosa assonanza tra l’autore e la sua casa editrice.
C’è una morbosa dissonanza, invece, nelle protagoniste femminili dell’ultimo romanzo di Mary Morris (Revenge, Leconte), morboso intreccio tra due donne - l’una scrittrice di successo, l’altra meno fortunata pittrice - forse amiche, più probabilmente nemiche, sicuramente complici nell’esplorare i torbidi percorsi della creazione artistica: se siete stanchi dello stereotipo dello scrittore saggio e flautato, che scrive con il gatto sulle ginocchia e un’aureola di luce intorno alla testa, questo libro può rivelarvi che lavoro sporco sia tradurre in parole le proprie ossessioni.
Ora vi saluto: non so quanto siano lunghe le vostre ferie, e quanto altro tempo vi rimarrà per la lettura. Diciamo, per finire, che - se ne avete voglia, se avrete tempo - avviandovi all’uscita potete cogliere a pieni mani dal catalogo di Minimum. Che se ho sbagliato io, là non si sbaglia di sicuro. Buone vacanze. Carlo D’Amicis.