Acque limacciose e turbolente, di Renato Barilli
Dichiaro senza reticenza il mio caldo consenso verso la Casa editrice Piero Manni, per gratitudine in quanto pubblica la rivista “L’immaginazione”, diretta dalla consorte Anna Grazia d’Oria, l’unica sede cartacea in cui al momento compare qualcosa di mio, attraverso i vari “pollici”, positivi o negativi, che mi è concesso esprimere verso le prove narrative del momento, Senza dubbio manifestazioni di approvazione non mancherebbero di essere rivolte pure ai romanzi che Manni pubblica, se non ci fosse la corretta norma di non fare pubblicità ai propri prodotti. Affido quindi a questa sede autonoma le mie esternazioni in merito, che beninteso sono sentite e autentiche, non certo dettate da meschini favori di scambio. Mi sono appena espresso favorevolmente rispetto all’ultima uscita di Marina Mizzau, ora replico il giudizio favorevole relativo a due altri prodotti usciti dalla stessa casa: “L’umano sistema fognario” di Cosimo Argentina e “La bestia!” di Beppe Lopez. Quanto al primo autore, non è certo la prima volta che gli do il mio assenso, mi è già capitato rispetto a “Maschio adulto solitario”, che resta forse la sua prestazione più ampia, anche col merito di concedersi trasferte, da un Meridione, e nella fattispecie da Taranto, sua matrice primaria, verso il Nord in cui, anche a livello biografico, Argentina è andato a stabilirsi. Poi, da lontano, sembra quasi che Taranto abbia esercitato su di lui un richiamo inarrestabile, come hanno testimoniato “Vicolo dell’acciaio” e ora l’ultima uscita. A questo autore posso dare una tessera di appartenenza al club che per me resta il migliore fra tutti, quello costituito dall’ondata di narratori anni Novanta, consacrati dalle comparse al RicercaRE di Reggio Emilia, e contrassegnati da varie etichette: gioventù cannibale, adepti di un Italian New Realism, o neo-neorealisti, tutti navigatori nelle acque limacciose e turbolente di una attualità inondata dagli oggetti del consumismo ma inquinata dai liquami della corruzione, dai miasmi della putrefazione. Una situazione del genere, benché nata ormai due o tre decenni fa, tiene ancora banco e trova nuovi proseliti, come per esempio Giovanni Greco, con “Malacrianza” e “Ultima madre”. E in qualche modo Argentina viene a concludere tutto ciò come sta a indicare il titolo stesso del suo romanzo, volto a indagare sull’”umano sistema”, ma dichiarandolo “fognario”. Forte e prioritaria l’invenzione di partenza, di un miserabile Emiliano Maresca che lavora in un’acciaieria tarantina “per pochi denari”, avendo a carico una madre mal ridotta, che però, con la sua pensione, fa quadrare i conti del magro bilancio, tanto che quando muore, il protagonista decide di non dichiararne il decesso ma di ficcarla a forza nel frigorifero per ritardarne la putrefazione. Del resto, malgrado l’estrema offesa resa alle spoglie mortali della genitrice, il Maresca intende agire da vendicatore del massimo torto da lei subito, quello di essere stata ingravidata da un losco e cinico Ignazio Borgogna, subito passato a più regolari connubi da cui sono nate le figlie Esmeralda e Diamante, e dunque sorellastre del Maresca. Il quale vuole trarre una vendetta del tutto in regola con questo universo escrementizio o fognario che dir si voglia. Ovviamente la più consistente fra tutte le manifestazioni basso-corporali è la congiunzione carnale, meglio ancora se effettuata attraverso la perversa via anale, e questo dunque è l’obiettivo perseguito con accanimento davvero nero, belluino, spietato, dal protagonista, che non ha pace finché non riesce a incastrare ciascuna delle due giovani avendo con lei un rapporto subito pronto a degenerare in sadismo. Ma l’obiettivo massimo resta il padre, che finalmente diventa raggiungibile, e nel modo più osceno, in quanto questo colpevole profittatore di donne indifese cede anche alle tentazioni dell’omosessualità, e dunque entrando in questi panni il vendicatore può accedere a lui, e concludere così il suo gesto di ripulsa verso tutto il mondo circostante. Di cui, nell’atto stesso di allontanarlo con ribrezzo e condanna, traccia però un ritratto veritiero come più non si potrebbe, proprio perché grondante lacrime e sangue.
Anche il romanzo di Beppe Lopez sembrerebbe adottare inizialmente una simile chiave di brutalismo aggressivo, basti dire che esso si apre quando un essere selvaggio, la bestia del titolo, ovvero il “feruscolo”, si presenta alla porta di una città come tante, con le sue regole, i suoi ordinamenti civili. Le sentinelle vigilano sulle mura, e infatti il temuto intruso viene arrestato, relegato in cella, sottoposto a interrogatori, difficili perché, con piena coerenza con la chiave “bestiale” adottata, lo straniero parla una lingua gutturale incomprensibile, Però, strada facendo, le parti si ribaltano, poco alla volta risulta che l’ordine della città è falso, ovvero soggiace a un dominio di entità lontane ed estranee, mentre una via di salvezza sta proprio nell’accogliere la tacita lezione di libertà che viene dallo pseudo-selvaggio. Che poi tale non è, e anzi può vantare una sua legittimità, o priorità di diritti. Si delineano i tratti di una favola, sul tipo dell’orfano abbandonato ma provvisto di un segnale di riconoscimento che lo farà apparire come un reuccio in esilio e lo porterà a riprendere i titoli e gli onori perduti. Ma a dire il vero la parte migliore del racconto sta all’inizio, quando la bestia non ha ancora fatto apparire i prevedibili segreti insiti nella sua presenza.