Questo prologo si addice a meraviglia alla prova recente di Cosimo Argentina, Maschio adulto solitario, Manni editore, che conduce un suo forte periplo a tappe, a gironi, in alcuni degli orrori forniti dalla scena attuale, a cominciare dalla famiglia. Il padre se n’è andato, e ora entra nell’unico reparto sacro di questo universo, riservatoagli Invisibili, come li chiama il protagonista, Dànilo Colombia, che sono i pochi numi propiziatori da tener fuori dalla mischia. In una turpe immanenza quotidiana resta invece la madre, ossessionata dal timore di invecchiare, protesa a tenersi avvinto, con residue incerte armi di seduzione carnale, un bellimbusto profittatore e scroccone, che la incita a scacciare di casa il rampollo. Del resto il nostro Dànilo (per favore, l’accento sulla prima sillaba, a significare un suo inguaribile margine di diversità dai normali) è costretto a errare, per le strade della natia Taranto, o di altri luoghi ugualmente a lui ostili. Le varie stazioni prevedono un periodo di vita militare, che naturalmente non ci fa sconto di alcuno dei possibili mali connessi, la boria, lo spirito sadico dei superiori, le umilianti prove sessuali che i commilitoni infliggono ai deboli, costringendoli a prestazioni degradanti. Del resto, anche il nostro Colombia, che beninteso nulla ha a che fare con una colomba pacifica, per salvarsi in tanto marasma non bada ai mezzi da usare, ricorre anche lui al sesso nelle forme più turpi, ingraziandosi donne anziane che si trovino in grado di rendergli qualche favore. C’è, nel romanzo, un albo di prestazioni sessuali da lui rese con disgusto, ma viste da vicino, con una lente d’ingrandimento che rende ossessive le carni avvizzite, gli organi smunti, rinsecchiti, ma tanto vogliosi. Dopo la stazione nell’esercito ne viene un’altra situata nel Nord, presso una fantomatica industria del tonno in scatola, e anche qui gli orrori, le privazioni, le umiliazioni si accumulano, fissate sempre con lo stralunato sguardo lenticolare di cui è capace il nostro Dànilo. Poi, quasi per miracolo, gli riesce di strappare una laurea in legge, che tenta di mettere a frutto, rientrando a Taranto, presso uno studio legale che è fucina di ogni nequizia e inganno e sopruso, agli ordini di un titolare grossolano, o addirittura brutale, deciso a tenere schiacciato il dipendente sotto un tallone di ferro, sfruttandolo sistematicamente. Unico risarcimento, anche qui, il capitolo degli esercizi erotici intrattenuti con una compagna nello studio legale, la vezzosa e tentatrice Armida, come sta a indicare il nome civettuolo. Ma lo abbiamo detto, il nostro Colombia non è affatto una colomba, ben presto impara il mestiere dal suo capo, e si dà a soffiargli abusivamente i clienti. Da qui, frizioni, condanne, pestaggi bestiali. Non c’è insomma salvezza, per Dànilo, davvero condannato a un destino di “maschio solitario”. Tenta un ritorno in famiglia, ma per l’orrore che gli fa la madre giunge ad ucciderla, dopodichè, non gli resta che tentare a sua volta il suicidio. Davvero siamo di fronte a una forte recrudescenza del céliniano “viaggio al termine della notte”.
Cosimo Argentina, Maschio adulto solitario
Questo prologo si addice a meraviglia alla prova recente di Cosimo Argentina, Maschio adulto solitario, Manni editore, che conduce un suo forte periplo a tappe, a gironi, in alcuni degli orrori forniti dalla scena attuale, a cominciare dalla famiglia. Il padre se n’è andato, e ora entra nell’unico reparto sacro di questo universo, riservatoagli Invisibili, come li chiama il protagonista, Dànilo Colombia, che sono i pochi numi propiziatori da tener fuori dalla mischia. In una turpe immanenza quotidiana resta invece la madre, ossessionata dal timore di invecchiare, protesa a tenersi avvinto, con residue incerte armi di seduzione carnale, un bellimbusto profittatore e scroccone, che la incita a scacciare di casa il rampollo. Del resto il nostro Dànilo (per favore, l’accento sulla prima sillaba, a significare un suo inguaribile margine di diversità dai normali) è costretto a errare, per le strade della natia Taranto, o di altri luoghi ugualmente a lui ostili. Le varie stazioni prevedono un periodo di vita militare, che naturalmente non ci fa sconto di alcuno dei possibili mali connessi, la boria, lo spirito sadico dei superiori, le umilianti prove sessuali che i commilitoni infliggono ai deboli, costringendoli a prestazioni degradanti. Del resto, anche il nostro Colombia, che beninteso nulla ha a che fare con una colomba pacifica, per salvarsi in tanto marasma non bada ai mezzi da usare, ricorre anche lui al sesso nelle forme più turpi, ingraziandosi donne anziane che si trovino in grado di rendergli qualche favore. C’è, nel romanzo, un albo di prestazioni sessuali da lui rese con disgusto, ma viste da vicino, con una lente d’ingrandimento che rende ossessive le carni avvizzite, gli organi smunti, rinsecchiti, ma tanto vogliosi. Dopo la stazione nell’esercito ne viene un’altra situata nel Nord, presso una fantomatica industria del tonno in scatola, e anche qui gli orrori, le privazioni, le umiliazioni si accumulano, fissate sempre con lo stralunato sguardo lenticolare di cui è capace il nostro Dànilo. Poi, quasi per miracolo, gli riesce di strappare una laurea in legge, che tenta di mettere a frutto, rientrando a Taranto, presso uno studio legale che è fucina di ogni nequizia e inganno e sopruso, agli ordini di un titolare grossolano, o addirittura brutale, deciso a tenere schiacciato il dipendente sotto un tallone di ferro, sfruttandolo sistematicamente. Unico risarcimento, anche qui, il capitolo degli esercizi erotici intrattenuti con una compagna nello studio legale, la vezzosa e tentatrice Armida, come sta a indicare il nome civettuolo. Ma lo abbiamo detto, il nostro Colombia non è affatto una colomba, ben presto impara il mestiere dal suo capo, e si dà a soffiargli abusivamente i clienti. Da qui, frizioni, condanne, pestaggi bestiali. Non c’è insomma salvezza, per Dànilo, davvero condannato a un destino di “maschio solitario”. Tenta un ritorno in famiglia, ma per l’orrore che gli fa la madre giunge ad ucciderla, dopodichè, non gli resta che tentare a sua volta il suicidio. Davvero siamo di fronte a una forte recrudescenza del céliniano “viaggio al termine della notte”.