Senza limiti, di Antonio Errico
Quando Cosimo Argentina comincia a raccontare sa già che la differenza tra le storie è data dalla vita e dalla morte. Sa che deve scendere - che deve sprofondare - fino a raggiungere quella differenza, fino al punto in cui si rivelano i nodi dell’essenza, i grovigli di senso, le trame complicate, le implicazioni che comportano menzogna e verità, la coscienza limpida o torbida ma comunque essenziale, riconoscibile, autentica. Quando comincia a raccontare sente già il brivido che correrà come una febbre per tutta la narrazione, il respiro che si annoda in un affanno, l’ansia di trovare le parole più aderenti, i ritmi connaturati, i costrutti più coerenti.
Maschio adulto solitario, edito da Manni in questi giorni, è un romanzo che abolisce il limite. Ogni elemento è sempre oltre: il tempo, lo spazio, gli stadi della crescita, la conoscenza, l’esperienza. È anche oltre la necessità di raccontare, anche oltre il dolore, il silenzio, oltre la colpa e oltre l’innocenza, al di là della ragione, del sentimento, della rassegnazione, fuoriesce da qualsiasi incipit e qualsiasi explicit, sventra il concetto di bene e quello di male, di dolore, felicità, vizio, virtù, trascendenza, immanenza. Perché quello che accade, accade così e non diversamente è un interrogativo che esplode - implicitamente, in modo mascherato, serpeggiante - in ogni pagina. È un corpo a corpo dilaniante con l’idea di destino, con la bellezza deturpata, l’onestà violentata, l’angoscia del tempo che cresce, e sommerge, nonostante i tanti infingimenti, i tentativi di catarsi, la tensione della metamorfosi, la ricerca di una consistenza del proprio essere, del proprio esistere.
Pastiche caleidoscopico di matrice gaddiana filtrato dalle tendenze del romanzo dell’ultimo Novecento; lessico ribollente che proviene da sottocodici suburbani e da suburra, dalla marginalità e dalla emarginazione, dal disagio del vivere, da un’autoreclusione nelle proprie visioni del mondo, dell’altro, del sé; una fraseologia mimetica, secca, essenzializzata nelle immagini, caratterizzata dalla prevalenza dei fatti.
Argentina fa uso di molti registri, comunque ricondotti prevalentemente ad un parlato spontaneo, immediato, l’argot della città vecchia mescidato dal nuovo che avanza, da un’estetica ad un tempo tragica e lussuriosa.
La narrazione procede per scioglimento di grumi: la città, l’amore, le abissali ossessioni, creature invisibili, visibili - sovrastanti - fantasmi.
Quando poi il grumo si scioglie rimane il sangue per rivelare l’origine e il fine, il motivo e il movente, la causa e l’effetto di ogni possibile vita e quindi di ogni possibile racconto; rimane il ricordo lancinante di qualcosa che si riverbera nel presente come un’emozione, una sensazione, una percezione, una malinconia, una tenerezza, un trasalimento, uno stupore. Rimane il fondo o il fondiglio dell’origine, del tempo generativo, del luogo interiore che sopravvive e pulsa tra le macerie: Taranto che profuma di maggio. La sua gente che ha lo stesso odore.
Mentre racconta Cosimo Argentina sa che ogni realtà per poter sopravvivere a se stessa ha bisogno di trasformarsi in metafora, allegoria, archetipo. Così i suoi luoghi e i suoi personaggi diventano archetipi, metafore, allegorie di destini, vizi, virtù, maledizioni, rancore. Ci sono tutti i sentimenti in questo romanzo; ci sono vuoti, vertigini, ossessioni. La sola cosa che non c’è è l’indifferenza. Questa è una scrittura di appartenenza totale, viscerale, senza mediazioni. Che riguarda chiunque ne venga in qualsiasi modo e per qualsiasi ragione a contatto, indipendentemente dalle idee di poetica, di forma, di stile, dalle visioni dell’universo e, conseguentemente, della letteratura, più esattamente della scrittura. È un romanzo che prende posizione rispetto alla continua contaminazione del bene e del male, al dramma quotidiano che smotta in commedia e alla commedia che sbocca nel dramma, al vizio di interrogarsi sulla possibilità, che spesso si fa necessità, di una metamorfosi del sé in altro e sulla codardia di non darsi mai una risposta.
Argentina è sempre dentro i suoi personaggi e i personaggi sono dentro di lui. Non si identificano ma si compenetrano. C’è una psicologia del profondo e del rimosso che agisce e aggredisce ogni pensiero e ogni parola.
Quando Cosimo Argentina finisce di raccontare, tutto quello che esisteva al principio non esiste più: non c’è più quella città, né quel tempo, né i destini. Di uguale, o quasi uguale, resta solo un correre correre senza scopo, la smania di un’esperienza di esistere che si paga minuto per minuto, a prezzo ogni minuto più caro.