Dan Lungu, Il paradiso delle galline

03-07-2010
Dove qualcuno pensa sempre a farti trovare il mangime, di Maria Paola Porcelli

Politicamente incapaci di essere protagonisti consapevoli di giri di vite, meglio restare come galline al di qua di una retina, certe solo dei chicchi di granturco che qualcuno ogni giorno comunque faccia trovare. Già, la retina: un altro muro – una «cortina di ferro» - con cui avere confidenza, a contenere il proprio sicuro ma breve passo. E, nel frattempo, attendere effimeri avventi di improvvise bolle economiche, come lombrichi da beccare ma di cui presto nausearsi. Che infestano, piuttosto che arricchire, i propri recinti. Le istruzioni per l’uso per conoscere ed evitare, forse, malaugurati espedienti del genere sono tutte nei dieci racconti provocatori e d’esordio che Il paradiso delle galline del sociologo romeno Dan Lungu (nato a Botosani nel 1969) stende nel suo falso romanzo di voci e misteri edito in patria nel 2004 ed appena pubblicato nella prima traduzione italiana, quella di Anita Natascia Bernacchia, dalla Manni di San Cesario di Lecce col sostegno dell’Istituto culturale romeno di Bucarest. Meglio: importanti istruzioni alla lettura dei racconti – ma sembra a tratti la visione di un docufilm su periferie di esistenza e Storia dopo il crollo del regime di Ceausescu e la transizione – sono nella nota con cui Monica Joita, direttrice dell’Istituto romeno di Venezia, pone il sigillo al volumetto-manifesto di Lungu, anche caporedattore della rivista parigina Au Sud de l’Est. Anche autore in Italia, nel 2009, per Zona, di Sono una vecchia comunista, volume in cui il sociologo affonda ancora il coltello nell’«enigma psicologico»: come mai oggi in Romania molti di coloro che vissero il disumano totalitarismo del dittatore che accompagnò la sua esecuzione con le note dell’Internazionale ne rimpiangono il clima?

Valore aggiunto di questa pubblicazione? La possibilità di proiettare le dinamiche socio-politiche romene sui nostri profili. Per vedere di nascosto l’effetto che fa. Un regime e le sue nostalgie: provocatorie proposte di nostalgie per piccoli e quotidiani paradisi. Quelli delle galline di Lungu. Una sottile vena favolistica, a tratti dal sapore metaforico e alla ricerca di una morale, a ricordare un po’ Esopo e le comuni radici latine per i suoi dieci capitoli e racconti: annunziammo su queste pagine l’acquisto alla Buchmesse di Francoforte del 2009 dei diritti sul titolo da parte di Agnese Manni, che ha appena presentato il volume al Salone internazionale del libro di Torino.
Anche così, spiega Monica Joita, «la comunità letteraria romena cerca di recuperare la distanza nella comunicazione e nella reciproca conoscenza con il resto del mondo che la cortina di ferro aveva imposto». Anche con pagine – quelle dei racconti di Lungu – che occupano larghezza e lunghezza di una strada: via delle Acacie. Tutto un mondo. In questo limbo di spazio e di tempo, una comunità alza un altro muro in cui inscrivere le uniche certezze: quotidianità, chiacchiericci, memorie immerse nella vodka nascosta a mogli nelle cassette di scarico del water di casa, in cui umettarsi le labbra di continuo per poter deformare le ombre del passato e del futuro che forse verrà all’ombra del vecchio trattore, viatico ad una narrazione orale e alle sue solidarietà minacciate. Sino all’acme metaforico del settimo capitolo: complice un sogno premonitore, ancora vodka e acquavite, il protagonista, Relu Covalciuc, vive l’incubo di galline sovietiche che s’ingigantiscono superando in grandezza quelle americane e, angosciato, invidia le loro esistenze.
È il «paradiso delle galline», ignare delle preoccupazioni di un capitalismo catapultato in un mondo impreparato a riceverlo. Pagare bollette, arrabbiarsi davanti ad un telegiornale, preoccuparsi di trovare i lombrichi. Sì, i lombrichi, gli stessi che nel sogno di Relu improvvisamente si moltiplicano, ingigantiscono, lombrichi «di tutte le nazioni, di tutte le mamme». È il j’accuse di Lungu contro una generazione che non ha saputo misurare il cammino verso la transizione e rischia ora di provare, appunto (Relu-Dan ne è convinto perché come gli animali «sente tutto»), pericolose nostalgie.
Quelle per un’età dell’Oro vissuta tra carta igienica prodotta con carichi di bibbie occidentali riciclate e conquistata dopo ore di fila.