Nel condominio di Soscia, di Enzo Mansueto
Sebbene il titolo rinvii alla traduzione italiana (Condominium) del celebre High-Rise di J.G. Ballard, il romanzo del 1975 col quale il geniale scrittore inglese offriva un inquietante spaccato della società attraverso l’intreccio di storie di un gigantesco condominio londinese, e sebbene qui il motivo di partenza sia lo stesso – una rete di storie claustrofobiche racchiuse nella cornice di uno strano condominio –, l’esordio narrativo di Danilo Soscia (Formia 1979, esperto di letteratura di viaggio) appare avviato su altri binari, altri registri letterari. Soprattutto formali. Le trentasei storie, meticolosamente organizzate per palazzine, piani interni, fanno pensare a un gioco narrativo di tipo «potenziale», alla Perec, per intenderci. Quella letteratura potenziale che in Italia ha trovato un interprete geniale nel Calvino delle Città invisibili, sino a Palomar.
A questo impianto fa pensare, con sfumature beckettiane, l’andamento per paragrafi brevi, paratattico, senza maiuscole, con punteggiatura essenziale, che Soscia adotta per sciorinare microvicende di animali parlanti, travestiti, esuli, suicidi, fantasmi, assassini. Lettura spassosa e conturbante, per un libro che puoi sfogliare da ogni punto.