Il paese che non voleva cambiare è il titolo del libro di esordio di Davide D’Urso. Edito da Manni , il libro raccoglie quattro racconti che dipingono un affresco reale ed attuale della provincia napoletana. I protagonisti dei vari racconti sono persone comuni, di quelle che si può incontrare per strada: madri, lavoratori, studenti, gente ben fissata in un ruolo, che giorno dopo giorno recita nella sua vita. Il titolo è già un presagio. Il “paese”, abbandonato dalle istituzioni, non fa niente per modificare se stesso. Il cambiamento non è presente nel suo Dna, si è dinnanzi ad una inerzia che a volte può anche spaventare. La bravura dell’autore è nel riuscire a toccare tutti i temi più caldi come sarebbero visti dall’uomo della strada. Sono descritte così persone emigrate al nord e ritornate al proprio paese come degli dei, ex idealisti sessantottini oramai arresi di fronte la vita quotidiana, oppure storie di uomini travolti dall’amore per una prostituta dell’est. L’uomo che D’Urso ci presenta è quello immerso nella tragedia della quotidianità, dal quale non può fuggire. Il primo racconto, intitolato La Collana di Perle presenta un “classico familiare”. La famiglia si riunisce attorno alla tavola per la cena. I fratelli ormai grandi raramente hanno la possibilità di incontrarsi e quindi l’occasione è ottima per scambiare quattro chiacchiere e ricordare i vecchi tempi. I bambini giocano, guardano un po’ la televisione, ma la tensione è alta. I dissapori si fanno sempre sentire. Il menù della serata, preparato con maestria dalla sorella maggiore, può far quasi rabbrividire per l’esagerazione delle portate, ma tutto ciò può rievocare nella mente del lettore la sazietà che si prova alla fine di un pranzo di Natale, uno dei pochi momenti dove si riunisce l’intera famiglia. I racconti, a volte imperversati da una denuncia sottile e severa per la vita di provincia, dimostrano che la città Napoli non è poi così diversa. I personaggi delle storie potrebbero essere incrociati durante una passeggiata in centro oppure la mattina mentre si sbrigano le solite commissioni. L’autobus descritto in L’ora di punta è tremendamente vicino alla nostra realtà giornaliera. Il controllore autoritario che incappa in un banale, quanto ingenuo, errore di valutazione scrivendo così la sua condanna. Le donne che si aizzano nei suoi confronti rappresentano un copione così assurdo e comune.