D'Ennery e Cormon, Le due orfanelle

19-03-2015

Un teatro con la T maiuscola, di Alessandra Stoppini

“ATTO PRIMO. QUADRO PRIMO. SCENA SECONDA. Lungo la Senna, alla stazione del Pont Neuf, dalla parte della rue Dauphine. A destra. Il quais des Augustins: è qui la fermata della diligenza di Normandia. A sinistra, un’osteria, in lontananza, la rue de Paris, sulla destra della Senna, irradiata da un bel tramonto”.


Il marchese de Presles stava dando le ultime istruzioni al losco Lafleur. L’uomo doveva aspettare la diligenza in procinto di giungere a Parigi, nella quale vi erano due ragazze sole. Il marchese si era invaghito di una viaggiatrice “una fanciulla adorabile, un tesoro di grazia, fascino e bellezza” che aveva incontrato nei paraggi di Rambouiller. Il marchese aveva scorto per qualche istante il grazioso visino della giovane vestita da provinciale, ma se n’era innamorato subito.
“L’incantevole fanciulla” dalla “finezza adorabile” aveva detto al marchese che si stava recando con la sorella a Parigi, dove non conosceva nessuno. Martin, un signore anziano al quale erano state raccomandate, avrebbe dovuto accogliere le due orfanelle al loro arrivo.

“SCENA SESTA”. Henriette Gérard e Louise erano appena scese dalla diligenza. “Oh, com’è bella Parigi!”, aveva esclamato Henriette cercando di descrivere alla sorella adottiva, non vedente, i luoghi che le circondavano. Le giovani si trovavano vicino “a un bel ponte, con varie casette ai lati ed una statua al centro”. Il ponte era il Pont-Neuf, mentre le “grandi torri grigiastre che si intravedevano” erano quelle di Notre-Dame, la cattedrale nella quale era stata deposta la culla di Louise, raccolta da Monsieur Gérard che aveva allevato la bambina come se fosse stata sua figlia.

Divenute orfane, le ragazze avevano venduto tutti i loro beni in Normandia per venire a Parigi dove “ci sono dei bravi medici che restituiranno tutta la luce d’un tempo agli occhi della mia Louise”. Ma le speranze delle due orfanelle erano state spezzate dalle perfide mire del marchese, il quale aveva fatto rapire Henriette da Lafleur, che a sua volta aveva neutralizzato Monsieur Martin. Rimasta sola, terrorizzata, Louise era caduta tra le mani di un’orrida donna, La Frochard, che l’avrebbe costretta a mendicare. Le disavventure delle sprovvedute orfanelle erano solo all’inizio.

“Senti, senti... Una cieca, senza genitori, senza conoscenze a Parigi. Ed è giovane... e bellina!”


Le due orfanelle (titolo originale Les deux orphelines, traduzione e cura di Guido Davico Bonino) è un romanzo in cinque atti e otto quadri di Adolphe Dennery (poi d’Ennery) ed Eugène Cormon, andato in scena per la prima volta il 20 gennaio 1874 al Teatro di Porte-Saint-Martin di Parigi. Non era certo questo un teatro con la T maiuscola, come ricorda nella dotta e bella Introduzione il curatore del testo, ma si trattava di un genere scenico che aveva sul pubblico una forza d’attrazione stupefacente.

Era il “mélodrame” cioè copioni in prosa, di solito divisi in cinque atti, all’interno dei quali si succedevano una serie di “tableaux”. Si passava da scene di quartiere ai sofisticati interni abitati dai “quartieri alti”. La struttura aveva alle spalle, ricorda sempre Davico Bonino, il “feuilleton”, il romanzo d’appendice “legato alla nascita di un giornalismo d’informazione a buon mercato” e a larga diffusione come La Presse e La Siècle. Proprio per questo motivo gli scaltri autori, fiutato il probabile guadagno, adattarono il melodramma in romanzo nel 1892 che fu poi pubblicato come “feuilleton” all’interno del giornale la Nation.

Nel 1894 il romanzo venne definitivamente edito dalle Editions Rouff. Svariate le riduzioni cinematografiche del libro, da quella di D. W. Griffith del 1921 Orphans of the Storm, ambientata durante la Rivoluzione francese a Le due orfanelle del 1942 regia di Carmine Gallone, protagoniste Alida Valli e Maria Denis. Inesauribile la catena di avvenimenti avversi che piovono sulle graziose testoline delle due orfanelle, ma alla fine il Bene avrebbe trionfato sul Male e le disgrazie occorse a Henriette e Louise sarebbero state solo un brutto ricordo.

“Abbracciatela dunque signora! E... chiamatela... Figlia mia!”