Donato Valli, Chiamami maestro

08-01-2009

Girolamo Comi, amato maestro di vita e cultura, di Dino Levante

Il futuro comincia al liceo. Cos’è stato per il giovane Donato Valli, quando frequentava la I C del Palmieri a Lecce. Quell’anno scolastico 1946-1947 era risultato il primo, con 10 in italiano, 10 in latino, 10 in greco e soltanto 7 in matematica (mai piaciuta). Sulla pagina locale della “Gazzetta del Mezzogiorno” il cronista gli aveva dedicato un bell’articolo. L’Italia, appena uscita dalla guerra, aveva bisogno di giovani speranze, e un allievo di successo poteva far piacere e riaccendere la fiammella della rinascita nella ricostruzione. Quella nota suscitò la curiosità del barone Girolamo Comi che, nella sua Lucugnano, riceveva ogni giorno il giornale. Mandò il suo autista a Tricase e il giorno dopo il bravo Valli era a Palazzo Comi. Da allora non si sono mai lasciati più e soltanto la morte ha troncato, come una lama rovente nel ghiaccio, un’amicizia che fu anche collaborazione professionale in ambito letterario. Di quegli anni vi è traccia ora nel volume Chiamami maestro. Vita e scrittura con Girolamo Comi che Valli, da discepolo, ha voluto dedicare alla sua grande guida. Un diario inedito trascritto tanto con amore quanto con stile filologico, nel quale sono rievocati gli anni d’intensa intesa e dai quali emerge chiara la figura del poeta e la storia di una generosa e lunga amicizia intellettuale. Perché questo libro e perché ora? “Le cadenze del tempo e dell’età – dice Valli – spingono a pensare al passato, a fare un bilancio della vita trascorsa. E l’esperienza irripetibile vissuta con Comi andava raccontata, scritta, trasformata in ricordo da non perdere.”
Come furono i primi tempi in casa Comi?
Il poeta aveva bisogno di un aiuto intimo, personale, di qualcuno che gli sbrigasse la corrispondenza, anche di scrivere a macchina; e io mi recavo a Lucugnano in bicicletta. Poi gli anni passarono e la nostra intesa, in un certo senso, divenne più professionale. Io studiavo a Bari e le sue letture mi avevano aperto un mondo del tutto nuovo, che non c’era nell’Università. Ricordo che lo stesso Mario Sansone, mio docente, si meravigliava della mia conoscenza delle correnti più d’avanguardia, come il simbolismo francese.
È abbastanza conosciuta l’opera di Comi?
Ancora solo a livelli alti, anche se le cose sono un po’ cambiate. Comi è un poeta non facile, classico puro, non scriveva poesie adattabili alle scuole, non è né Pascoli né Carducci. Fa parte del Novecento alto che ancora oggi non si studia a pieno oltre Montale, Ungaretti. Amava un canone poetico non propriamente italiano risentendo molto dei poeti maledetti francesi.
E oggi?
Si vive una vita grama, la poesia non ha più il fascino di un tempo. In Italia, dopo Luzi, c’è lo sperimentalismo che attende ancora una nuova forma di poesia.