La porta dell'armonia, di Fulvia Scarduelli
È bella questa raccolta di poesie, seconda silloge – dopo Oltre stagioni incerte – pubblicata per i tipi del raffinato editore Manni da Elisabetta Cabona, già docente di Latino e Greco al cittadino Liceo classico Arnaldo. Il titolo, Il suono delle sfere, propone il tema, rimandando ad una delle più suggestive immagini della classicità ripresa da Dante nel Paradiso, dell’armoniosa «girazione» delle sfere celesti, in grado di produrre una musica soave avvertita, secondo tutti gli autori da Pitagora e Cicerone, soltanto da pochi privilegiati.
La ricerca, personale e suggestiva dell’armonia della vita sottende l’intera opera, aperta da una lirica eponima cui fa seguito Note di infinito, che rimanda circolarmente alla conclusiva Infinito in cui i calchi leopardiani sono trampolino tematico per soluzioni personali. La lunga consuetudine con i classici, ideali interlocutori della Cabona per il loro rapporto diretto con la natura rimpianto da tutti gli autori delle epoche posteriori, suscita alcun interrogativi: con una sorta di «stele di Rosetta», si scoprirà la pienezza della vita, cioè la possibilità di vivere in un universo luminoso privo di stagioni, unica possibilità di infinito per l’uomo?
O ancora, avremo ancora bisogno della parola quando lasceremo avanzare la natura con le epifanie del suo linguaggio?
Soltanto la natura può svelare la verità sull’uomo ed il mondo, visto nei termini di «uno-tutto» mette le ali ai piedi, ma il panismo incontra un limite, quello umano; perciò fondersi con le cose, travalicare se stessa, trasumanare anche solo per amore, può avere costi alti, troppo alti, come si legge nella lirica Volevo essere. È talvolta triste, la Cabona, come un eroe classico che non teme l’abisso, ma avverte la solitudine del suo slancio e sembra sapere che, in ogni ricerca, quanto perdiamo di noi stessi, supera quanto troviamo alla fine.
Emblematico in proposito il filone dei ricordi familiari che, accanto alla resa del paesaggio dia colori mediterranei, attraverso l’intera silloge: come la madre divina cerca la sua kore rapita, ora l’autrice, divenuta adulta, cerca la madre ormai scomparsa in un gioco di specchi in cui le due figure si sovrappongono nella speranza di ritrovarsi tra le spighe di campi infiniti.
Solo apparentemente lineare e discorsiva, l’affascinante poesia della Cabona evoca grandi coordinate spazio-temporali in liriche brevi, che rifiutano tuttavia la sentenziosità dell’epigramma, dai versi morbidi come onde e impreziositi da calchi letterari.