Elisabetta Luzzardi, Contrada Mocenigo

26-04-2008
Luzzardi, l’adolescenza in Contrada Mocenigo

Il mestiere di vivere: un duro lavoro soprattutto nell’aspro tirocinio del crescere, dentro quella «specie di malattia che ti capita addosso senza averla cercata» che è l’adolescenza. Lo scrive Elisabetta Luzzardi in Contrada Mocenigo (Manni, pp.163, euro14), il nuovo, denso romanzo di formazione, ricco di sogni, pensieri e ricordi tra gioia e nostalgia, tra brescianità e autobiografia, che viene presentato domani alle 17 al Sancarlino.
«Il passato è qui», sintetizza Silvano Agosti nella bella prefazione, invitando a cogliere la «fragranza» di quelle «prime emozioni affettive» che - con sapienza lieve ed efficace - l’autrice affida al lettore; palpiti e immagini di un tempo lontano. E vicinissimo, perché dentro il respiro e l’anima di chi scrive; perchè segno della perenne avventura umana di ricerca, impegno, fatica.
Oggi come nei decenni passati. Nell’allora della grande casa rossa: un piccolo paese nella città, con le tortore e gli amici, la bici e i gelsi tra la strada - il luogo dei giochi - e la strada ferrata, lo spazio dei sogni. Poi nel convento delle suore, lindo, ordinato, lo studio attento e la voglia di conoscere, nei libri e fuori.
Tra i campi e il bosco della Val Sabbia, nell’amata materna terra dove - d’estate - Contrada Mocenigo è il mondo; un grande piccolo mondo, antico e amico. Figlia unica di una mamma vedova (assorbita dal lavoro alla Scuola Editrice) l’io narrante cresce - libera e protetta - tra nonni diversi (più chiusi e fieri quelli valsabbini, più concilianti e sorridenti quelli paterni, della «bassa») Un intreccio che insegna che crescere è anche intrecciare... Corse e soste, feste e ferite, domande e dubbi. Ma il mondo è tutto «un lutto»? Il male di vivere è cupa malinconia... Ma crescere è anche questo.