Fratelli e sorelle d'Italia all'osteria, di Bruno Quaranta
Romanzo breve, Un posticino morale sedusse a metà Italo Calvino. Che lo restituì all’autore. Emilio Jona lo scrisse nel 1954, in parte lo pubblicò su “il Ponte”, la rivista di Piero Calamandrei, nel 1962, quindi lo rivide interamente riproponendolo nel 1983. Ed ora rieccola, la madeleine, per i tipi di Manni, una girandola di ricordi amniotici che patafisicamente deflagrano.
A ciascuno la sua Combray, il suo posticino morale, dove realtà e immaginario smisuratamente s’intrecciano. Emilio Jona, il suo viaggio à rebours, lo compie in terra biellese: «Un borgo in cresta di portici bassi dodicesimo secolo in prevalenza monumento nazionale, una campagna che subito sprofonda dietro le case, di prati quasi praterie di boschi quasi foresta, di cani quasi leoni, di liane e acqua quasi fiume africano».
Il quasi ottantenne Emilio Jona – l’altro mestiere è l’avvocatura – affida la postfazione allo psicoanalista Bruno De Maria, che non esita a cogliere la «sorvegliatissima schizofrenia» del Posticino. Insieme, attraverso il cognome, riconducendo a una pionieristica stagione: quando Jona (e Giorgio De Maria, Michele L. Straniero, Giustino Durano, Fausto Amodei…) tessevano «Cantacronache», la scommessa si rinnovare la canzone nella linea Brecht-Well e Prévert-Kosma.
È un pullulare di visioni, il Posticino di Jona, un’osteria di provincia da cui muovere e a cui tornare, un andirivieni di figure libere fino alla solitudine (ecco la nota «morale»), telluriche, la «grandezza tragica» di chi insegue «lo sbaglio al completo senza rimedio».
Nella carovana estravagante, primo attore è una sorta di fauno, un Ligabue, un maledetto, all’anagrafe Volpone (quando Ben Jonson in Volpone raccomandava: «Ognuno nel proprio umore»), su cui Jona felicemente, appassionatamente indugia: «sapienza di artigiano, cioè di ultimo artista», un lettore e un interprete grottesco della storia nazionale («Il rimescolio e linfa del dopoguerra fu la sua pappa reale: repubblica o monarchia, fischia il vento a braccetto con Villarbasse, il bianco fiore che si fotte il sol dell’avvenire, il gaudeamus igitur e Tombolo generale…»). E, con Volpone, ulteriori fratelli (e sorelle) d’Italia: dal vagabondo Milano al far west vaginale, da mitologiche creature a irriducibili travet…
Emilio Jona, con Un posticino morale, si ritaglia un posticino nella postscapigliatura piemontese, eco della espressionistica scapigliatura ottocentesca, quale la ritrasse Contini: tesa a cercare «l’eccezione lirica a un mondo preordinato tanto nello spregiudicato esame d’una vita “inferiore” quanto in un’evasione facilmente magica».