Enza Silvestrini, Partenze

25-09-2009
Un lungo addio con partenze, di Alessandra Giordano

Reiterazioni. Fili musicali, ritmi, ossessioni. La poesia è, innanzitutto, sapienza di composizione. La lingua è la vera ispiratrice. E Enza Silvestrini dimostra di conoscere il metodo, di saper usare la parola. La giovane poetessa napoletana ritorna, ora, con Partenze, (Manni Editore, pagg. 65, €9.00) a descrivere sensazioni e fatti con la crudezza del vissuto, con il corpo “bucato”, con il dolore della perdita. Delle perdite. Ma Partenze non è un libro di viaggi, ha detto scherzando Marina Giaveri, docente all’Orientale e autrice di un’interessante prefazione, piuttosto è un lungo addio non solo al padre sofferente in ospedale, poi rapito dalla morte, ma piuttosto la dura esperienza di un aborto. I versi della Silvestrini, decisamente autobiografici, si succedono senza sosta, senza punteggiatura, senza maiuscole, senza titoli: l’incedere nelle strofe è tutta un’unica preghiera che si snoda tra le pagine bianche, creando un serpente di parole, con un ritmo doloroso, soffocante avvolgente.
E’ stato detto: “La poesia è un dovere”. Un dovere dimostrare il proprio dolore, un dovere spiegare, un dovere farsi capire e, infine, un dovere condividere. La poesia è tutto questo. La poesia è coraggiosa. Ancora di più quella espressa da Enza Silvestrini che ritorna nel giro di pochi mesi a porgere con grazia tutta femminile questa nuova raccolta, dopo quella pubblicata da Graus nel 2008 intitolata Sulla soglia di piccole porte, un inno all’adolescenza, una fuga dal paese d’origine.

La Silvestrini nasce scrittrice, le piace narrare e il suo “salto” nella poesia, in realtà, trascina questa sua passione, la passione di scrivere e raccontarsi e raccontare ciò che ha dentro, d’istinto. Scrive a fiotti, infatti, confessa, a intervalli, quando c’è qualcosa che la stimola… E’ dura, la Silvestrini, a tratti feroce, contro la classe medica e infermieristica, spettatrice indolente delle disgrazie altrui.

Accanto all’autrice e alla Giaveri, dietro il tavolo dei relatori c’è anche una pittrice francese, Caroline Peyron, autrice dell’immagine lugubre sulla copertina, che, mentre si discute, traccia segni colorati sui libri che gli amici presenti acquisteranno. La Peyron non è nuova a questo genere di performance: l’abbiamo già incontrata ad altre presentazioni dove, con brevi tratti incisivi andava disegnando su una lavagna di carta le sensazioni scaturite dai versi che si recitavano e che lei, assicurava, non aveva mai sentito prima. “Per poter disegnare - dice la Peyron – ho bisogno di spazio e non di pathos e i versi della Silvestrini comunicano il giusto ritmo per farlo”.