Enzo Siciliano, di Geraldo Trisolino
[...] quel denominatore comune che Siciliano si sforza di evidenziare negli scrittori siciliani (fa bene Ferlita a ricordarci il detto latino "nomen, omen"!). Uno sforzo di non poco conto che ha l'ambizione di rinvenire una qualche unitarietà, una identità, un'impronta peculiare nella letteratura isolana che, non è pleonastico precisare, è la più antica della penisola: non per nulla il violume si apre con un saggio dedicato a Federico II e alla sua scuola poetica, ampiamente riconosciuta da Dante nel De vulgari eloquentuia. Una letteratura che, lungi dal crogiolarsi entro i confini regionali, in cui pure si sviluppa e si irrobustisce e da cui pure assorbe la linfa (per giunta, un territorio periferico, lontanissimo, Dio e siciliani sanno quanto, dai centri politici e culturali), assume fin dalle origini una dimensione universale e assurge a metafora dell'esistenza. "Gli scrittori dell'isola - osserva Siciliano - hanno sempre colto un'estremità immaginosa del nostro sentire comune, del nostro vivere, ma, di più, lo hanno isolato nello specchio della società, nel concreto insorgere dei conflitti umani e delle rapine conseguenti".